L'EREDITA' DI PIER
PAOLO PASOLINI, PER UNA LETTURA CRITICA DELL'ITALIA DI OGGI
Gli "Scritti Corsari" è una raccolta di articoli
del "Corriere della Sera", del "Tempo Illustrato", de
"Il Mondo", di "Nuova Generazione" e "Paese sera"
scritti da Pasolini, in cui il giornalista, poeta, regista e scrittore soppesa
e analizza criticamente il contesto politico, culturale, nazionale e sociale
dell'Italia, dal 1973 fino al 1975.
Ma chi è Pasolini ? E' un intellettuale corsaro che si
oppone dialetticamente e aspramente all'egemonia culturale del neocapitalismo
fuoriuscito dalla seconda guerra mondiale. L'Italia vive, nel secondo dopo
guerra, sotto il regime di un totalitarismo nuovo, che fonda il suo potere
sull'omologazione linguistica e culturale, sulla "tolleranza
repressiva", sulla liberalizzazione del sesso, di cui i referendum
sull'aborto e il divorzio ne rappresentano una preoccupante manifestazione; ma
si serve anche della massificazione della cultura, dell' uniformazione delle
minoranze culturali e linguistiche, riguardanti coloro i quali parlano ancora
il dialetto, ad un unico stile di vita e modo di parlare, di pensare e di
comportarsi. Pasolini scorge, nella trasformazione della realtà sociale
italiana postbellica, una deriva totalitaria che si concreta nel nuovo
capitalismo del consumismo smodato, dell' "edonismo neolaico" e della
"tolleranza repressiva".
Le differenze regionali e provinciali, che hanno contraddistinto l'Italia per la sua varietà ed eterogeneità culturale e storica, sono decadute, per essere relegate nella dimenticanza e per confluire nella realtà " a una dimensione" del regime capitalistico. Negli "Scritti Corsari" Pasolini critica i giovani del '68 che avevano dimostrato con la loro ribellione emotiva contro il "potere" il loro animo piccolo-borghese, il loro sovversivismo da "benpensanti", rinunciando a intraprendere un percorso di opposizione dialettica al sistema capitalista in cui erano nati. In un articolo sui sessantottini, Pasolini scorge nella loro fisionomia, particolare per le chiome "capellone", una rivolta blanda e inconsistente, guidata da una generazione di figli di banchieri, medici, imprenditori, impiegati, borghesi di ogni estrazione, che nel loro modo di vestire, coi loro jeans e il loro abbigliamento dimesso, vengono assimilati da quello stesso bersaglio di critica che li fagocita, smorzando le loro proteste e indirizzandole per i propri fini di dirigenza. Dunque Pasolini riesce ad arguire dal loro "linguaggio dei capelli" l'insofferenza e il disgusto dei giovani del '68 verso il sistema perpetuato dai loro "padri", tuttavia la loro protesta si risolve nell'emotiva ed incosciente contestazione che pian piano tradisce la sua valenza di movimento aderente al sistema, proponendosi come una nuova Sinistra "nata dentro l'universo borghese", capace di unire "provocatori" (di "destra", fascisti) ed elementi di "sinistra"; una sinistra adialettica che rumoreggia molto, ma che non avanza idee rivoluzionarie che trascendano lo status quo. E' un'analisi arguta e interessante quella di Pasolini: il '68 non è stato un momento di sostanziale rottura con l'ordine vigente, anzi ha palesato la piena maturazione del processo evolutivo di affermazione del neocapitalismo italiano che è fuoriuscito dall'esperienza fascista, dopo essersene servito per preservare in maniera reazionaria i propri interessi particolari. Il "regime", come lo definisce a buon diritto, ha vissuto 2 fasi di sviluppo con un interludio di transizione: la prima fase va dalla fine della guerra alla "scomparsa delle lucciole", che si estinsero nel '60 suscitando scalpore e costernazione; la seconda fase va dalla "scomparsa delle lucciole" fino ad "oggi" (Pasolini si riferisce al giorno in cui stava scrivendo l'articolo, all' incirca 1° febbraio, del 1975). La prima fase è contrassegnata da una "continuità fra fascismo e fascismo democristiano" che si connota per la comunanza di valori, quali famiglia, Patria, obbedienza, Chiesa, disciplina, risparmio, ordine, moralità, e che consolida la propria egemonia avvalendosi del supporto logistico - territoriale della Chiesa che era ben radicata negli ambienti contadini e borghesi dell'Italia del tempo.
Le differenze regionali e provinciali, che hanno contraddistinto l'Italia per la sua varietà ed eterogeneità culturale e storica, sono decadute, per essere relegate nella dimenticanza e per confluire nella realtà " a una dimensione" del regime capitalistico. Negli "Scritti Corsari" Pasolini critica i giovani del '68 che avevano dimostrato con la loro ribellione emotiva contro il "potere" il loro animo piccolo-borghese, il loro sovversivismo da "benpensanti", rinunciando a intraprendere un percorso di opposizione dialettica al sistema capitalista in cui erano nati. In un articolo sui sessantottini, Pasolini scorge nella loro fisionomia, particolare per le chiome "capellone", una rivolta blanda e inconsistente, guidata da una generazione di figli di banchieri, medici, imprenditori, impiegati, borghesi di ogni estrazione, che nel loro modo di vestire, coi loro jeans e il loro abbigliamento dimesso, vengono assimilati da quello stesso bersaglio di critica che li fagocita, smorzando le loro proteste e indirizzandole per i propri fini di dirigenza. Dunque Pasolini riesce ad arguire dal loro "linguaggio dei capelli" l'insofferenza e il disgusto dei giovani del '68 verso il sistema perpetuato dai loro "padri", tuttavia la loro protesta si risolve nell'emotiva ed incosciente contestazione che pian piano tradisce la sua valenza di movimento aderente al sistema, proponendosi come una nuova Sinistra "nata dentro l'universo borghese", capace di unire "provocatori" (di "destra", fascisti) ed elementi di "sinistra"; una sinistra adialettica che rumoreggia molto, ma che non avanza idee rivoluzionarie che trascendano lo status quo. E' un'analisi arguta e interessante quella di Pasolini: il '68 non è stato un momento di sostanziale rottura con l'ordine vigente, anzi ha palesato la piena maturazione del processo evolutivo di affermazione del neocapitalismo italiano che è fuoriuscito dall'esperienza fascista, dopo essersene servito per preservare in maniera reazionaria i propri interessi particolari. Il "regime", come lo definisce a buon diritto, ha vissuto 2 fasi di sviluppo con un interludio di transizione: la prima fase va dalla fine della guerra alla "scomparsa delle lucciole", che si estinsero nel '60 suscitando scalpore e costernazione; la seconda fase va dalla "scomparsa delle lucciole" fino ad "oggi" (Pasolini si riferisce al giorno in cui stava scrivendo l'articolo, all' incirca 1° febbraio, del 1975). La prima fase è contrassegnata da una "continuità fra fascismo e fascismo democristiano" che si connota per la comunanza di valori, quali famiglia, Patria, obbedienza, Chiesa, disciplina, risparmio, ordine, moralità, e che consolida la propria egemonia avvalendosi del supporto logistico - territoriale della Chiesa che era ben radicata negli ambienti contadini e borghesi dell'Italia del tempo.
"La democrazia
che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista era
spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta
attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine,
gestiti dal Vaticano. [...] Tali valori erano " anche reali": appartenevano
cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente
agricola e paleoindustriale."
Pasolini aggiunge che la continuità col fascismo si
manifestò con la mancata epurazione dei fascisti, la continuità dei loro
codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione.
L'interludio di transizione (verso gli anni '60)
"durante la scomparsa delle lucciole" trascorre nell'incoscienza del
pericolo che stava compiendosi, ossia la fine di un periodo storico con i suoi
fattori economici e le sue caratteristiche culturali e linguistiche, che si
stava scansando per dare spazio ad un nuovo contesto di forze sociali e
politiche, caratterizzato dal progressivo radicarsi del neocapitalismo del
consumismo e dell' "edonismo neolaico". Acquisisce peso sociale il
PCI (Partito Comunista Italiano) che organizza la massa operaia e contadina,
affrancandola dalla schiavitù psicologica dell'indottrinamento del Vaticano,
che si sentiva scalzato dalla forza destabilizzante del comunismo.
La seconda fase, dal '60 in poi, vede l'annullamento del
sistema di valori dell'Italia "paleoindustriale e agricola". La
dittatura "clericofascista" della Democrazia Cristiana permane anche
in questo periodo, proliferando in modo sostanzialmente differente, ma
formalmente eguale: l'universo di valori della Dc scompare e smette di
pervadere le vite degli italiani che cedono alla propagazione dei valori nuovi
del neocapitalismo.
" I
"valori", nazionalizzati e quindi falsificati, del vecchio universo
agricolo e paleocapitalistico di colpo non contano più. [...] A sostituirli sono
i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra"
rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Ma in Italia esso è del
tutto particolare, perchè si tratta della prima "unificazione" reale
subita dal nostro paese. Mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una
certa logica all'unificazione monarchica e all'ulteriore unificazione della
rivoluzione borghese e industriale."
In Italia, dal '60 in poi, si assiste ad "un vuoto di
potere in sè" che la Dc non riesce a colmare, in quanto soverchiata
dall'egemonia dei valori del consumismo sfrenato. La classe politica
democristiana permane come maschera superficiale di un nuovo regime che
Pasolini definisce capitalista; così come il "fascismo fascista" di
Mussolini non aveva scalfito minimamente le coscienze degli italiani, imponendo
loro solo dei profili estemporanei di comportamento, che all'occorrenza i ceti
contadini e operai abbandonavano in privato per esprimersi secondo la propria
cultura, anche il "clericofascismo" dopo il '60 smise di esercitare
la propria egemonia culturale, profilandosi come una maschera del
"mutamento antropologico" che gli italiani stavano vivendo, attirati
e assimilati dai valori del consumismo, dell' "edonismo neolaico",
della "tolleranza repressiva" ("permissivismo"),
dell'omologazione linguistica e comportamentale, della massificazione
culturale...di colpo i valori cattolici divengono esteriorità, apparenza che
nasconde il nuovo stile di vita che domina ancora oggi nella società italiana.
" [...] la
distinzione fra il fascismo e il fascismo di questa seconda fase del potere
democristiano (dal '60 in poi) non solo non ha confronti nella nostra storia,
ma probabilmente nell'intera storia"
"La spiegazione
è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma
questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto
di potere dirigenziale, nè, infine, un vuoto di potere politico in qualsiasi
senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sè."
"Il potere reale
che da una decina di anni "le teste di legno" hanno servito senza
accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe già aver riempito il
"vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del
grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perchè non si
tratta di "governare").
"Di tale
"potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo
apocalittiche: non sappiamo figurarci quali "forme" esso assumerebbe
sostituendosi direttamente ai servi che lo hanno preso per una semplice
"modernizzazione" di tecniche."
"Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per i lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola"
Pasolini fu trucidato ad Ostia. Il mistero della sua morte
si è aggiunto agli altri, non ancora svelati, della storia italiana; si pensa
che i responsabili del suo assassinio siano stati i servizi segreti,
infastiditi dai suoi articoli critici e dalla sua posizione di
"intellettuale corsaro", sempre in contrasto con il
"genocidio" antropologico del "Neocapitalismo", da lui
studiato e contestato. Il suo contributo si distingue per il suo valore di
originale e peculiare memoria storica e ideale, da curare gelosamente; allo
stesso tempo si presenta come riprova della ferita che la mancanza prematura e
premeditata di Pasolini ha generato nella società e nella cultura italiana,
solo in parre alleviata dalle sue numerose opere e dalla sua immutata e
coraggiosa "disperata
vitalità".
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