La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica
hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art.1
Il Presidente della Repubblica è autorizzato a
ratificare l'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio
1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio1929,
tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
Art.2
Piena e intera esecuzione è data all'accordo con
protocollo addizionale di cui all'articolo precedente a decorrere dalla sua
entrata in vigore in conformità all'articolo 13, n. 1, dell'accordo stesso.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato,
sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi dei decreti della repubblica
italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare
come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 25 marzo 1985
PERTINI
Craxi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il guardasigilli Martinazzoli
ACCORDO
LA SANTA SEDE
E LA REPUBBLICA ITALIANA
Tenuto conto del processo di trasformazione politica e
sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi
nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;
avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;
considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;
hanno riconosciuto l'opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense.
avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;
considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;
hanno riconosciuto l'opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense.
Art.1
La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che
lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti
e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti
ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del
Paese.
Art.2
1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa
cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e
caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è
assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del
culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della
giurisdizione in materia ecclesiastica.
2. È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa.
3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
4. La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.
Art.3
1. La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie
è liberamente determinata dall'autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna
a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede
vescovile si trovi nel territorio di altro Stato.
2. La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamente effettuata dall'autorità ecclesiastica. Quest'ultima dà comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l'ordinamento dello Stato.
3. Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo, ecclesiastici che non siano cittadini italiani.
Art.4
1. I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno
emesso i voti hanno facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati
dal servizio militare oppure assegnati al servizio civile sostitutivo.
2. In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari.
3. Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare accordati agli studenti delle università italiane.
4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.
Art.5
1. Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica.
2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica.
3. L'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali.
Art.6
La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi
tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d'intesa fra le
Parti
Art.7
1. La Repubblica italiana, richiamandosi al principio
enunciato dall'articolo 20 della Costituzione, riafferma che il carattere
ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o
istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di
speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma
di attività.
2. Ferma restando la personalità giuridica degli enti
ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su
domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a
riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in
Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali
abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il
riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti
medesimi.
3. Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici
aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali
scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le
attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti
ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di
tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime
tributario previsto per le medesime.
4. Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di
atti, le affissioni all'interno o all'ingresso degli edifici di culto o
ecclesiastici, e le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad
essere soggetti al regime vigente.
5. L'amministrazione dei beni appartenenti agli enti
ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli
acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle
leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche.
6. All'atto della firma del presente Accordo, le Parti
istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione delle norme da
sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli
enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello
Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale
degli enti ecclesiastici. In via transitoria e fino all'entrata in vigore della
nuova disciplina restano applicabili gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e
30 del precedente testo concordatario.
Art.8
1. Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni
contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l'atto
relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni
nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato
spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli
articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e
redigerà quindi, in doppio originale, l'atto di matrimonio, nel quale potranno
essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge
civile.
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a) quando gli sposi non rispondano ai
requisiti della legge civile circa l'età richiesta per la celebrazione;
b) quando sussiste fra gli sposi un
impedimento che la legge civile considera inderogabile. La trascrizione è
tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di
annullamento non potrebbe essere più proposta.
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi.
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi.
2. Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate
dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del
superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda della parti o di
una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della
corte d'appello competente, quando questa accerti:
a) che il giudice ecclesiastico era il
giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in
conformità del presente articolo;
b) che nel procedimento davanti ai
tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di
resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali
dell'ordinamento italiano;
c) che ricorrono le altre condizioni
richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle
sentenze straniere.
La corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia.
La corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia.
3. Nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l'esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società.
Art.9
1. La Repubblica italiana, in conformità al principio
della libertà della scuola e dell'insegnamento e nei termini previsti dalla
propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire
liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l'esame di Stato.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l'esame di Stato.
2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore
della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno
parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel
quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica
nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
Art.10
1. Gli istituti universitari, i seminari, le
accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per
la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto
canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica.
2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia.
3. Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica.
Art.11
1. La Repubblica italiana assicura che l'appartenenza
alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in
ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti
di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio
della libertà religiosa e nell'adempimento delle pratiche di culto dei
cattolici.
2. L'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità.
Art.12
1. La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel
rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti.
Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti.
2. La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l'onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe.
Con l'osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle sacre reliquie.
Art.13
1. Le disposizioni precedenti costituiscono
modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due Parti, ed
entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo
quanto previsto dall'articolo 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non
riprodotte nel presente testo sono abrogate.
2. Ulteriori materie per le quali si manifesti l'esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.
Art.14
Se in avvenire sorgessero difficoltà di
interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede
e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un'amichevole soluzione ad
una Commissione paritetica da loro nominata.
Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.
Agostino Card. Casaroli
|
Bettino
Craxi
|
Visto, il Ministro degli affari esteri
Andreotti
Andreotti
PROTOCOLLO ADDIZIONALE
Al momento della firma dell'Accordo che apporta
modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana,
desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione
dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni
difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:
1. In relazione all'articolo 1
Si considera non più in vigore il
principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione
cattolica come sola religione dello Stato italiano.
2. In relazione all'articolo 4
a) Con riferimento al n. 2, si considerano
in cura d'anime gli ordinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di
chiese aperte al culto ed i sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di
assistenza spirituale di cui all'articolo 11.
b) La Repubblica italiana assicura che
l'autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente
per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.
c) La Santa Sede prende occasione dalla
modificazione del Concordato lateranense per dichiararsi d'accordo, senza
pregiudizio dell'ordinamento canonico, con l'interpretazione che lo Stato
italiano dà dell'articolo 23, secondo comma, del Trattato lateranense, secondo
la quale gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da
autorità ecclesiastiche, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia
con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani
3. In relazione all'articolo 7
a) La Repubblica italiana assicura che
resterà escluso l'obbligo per gli enti ecclesiastici di procedere alla
conversione di beni immobili, salvo accordi presi di volta in volta tra le
competenti autorità governative ed ecclesiastiche, qualora ricorrano
particolari ragioni.
b) la Commissione paritetica, di cui al n.
6, dovrà terminare i suoi lavori entro e non oltre sei mesi dalla firma del
presente Accordo.
4. In relazione all'articolo 8
a) Ai fini dell'applicazione del n. 1,
lettera b), si intendono come impedimenti inderogabili della legge civile:
1) l'essere uno dei contraenti interdetto
per infermità di mente;
2) la sussistenza tra gli sposi di altro
matrimonio valido agli effetti civili;
3) gli impedimenti derivanti da delitto o
da affinità in linea retta.
b) Con riferimento al n. 2, ai fini
dell'applicazione degli articoli 796 e 797 del codice italiano di procedura
civile, si dovrà tener conto della specificità dell'ordinamento canonico dal
quale e regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine. In
particolare:
1) si dovrà tener conto che i richiami
fatti dalla legge italiana alla legge del luogo in cui si è svolto il giudizio
si intendono fatti al diritto canonico;
2) si considera sentenza passata in
giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico;
3) si intende che in ogni caso non si
procederà al riesame del merito.
c) Le disposizioni del n. 2 si applicano
anche ai matrimoni celebrati, prima dell'entrata in vigore del presente
Accordo, in conformità alle norme dell'articolo 34 del Concordato lateranense e
della legge 27 maggio 1929, n. 847, per i quali non sia stato iniziato il
procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria civile, previsto dalle norme
stesse.
5. In relazione all'articolo 9
a) L'insegnamento della religione
cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità alla
dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni -
da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica,
nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti
autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell'insegnamento della
religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche;
2) le modalità di organizzazione di tale
insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle
lezioni;
3) i criteri per la scelta dei libri di
testo;
4) i profili della qualificazione
professionale degli insegnanti.
c) Le disposizioni di tale articolo non
pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali la materia
è disciplinata da norme particolari.
6. In relazione all'articolo 10
La Repubblica italiana,
nell'interpretazione del n. 3 - che non innova l'articolo 38 del Concordato
dell'11 febbraio 1929 - si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte
costituzionale relativa al medesimo articolo.
7. In relazione all'articolo 13, n. 1
Le Parti procederanno ad opportune
consultazioni per l'attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del
presente Accordo.
Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.
Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.
Roma, diciotto febbraio
millenovecentottantaquattro.
Agostino Card. Casaroli
|
Bettino
Craxi
|
Visto, il Ministro degli affari esteri
Andreotti
Andreotti
Religione
come «fondamento e coronamento» dell’istruzione scolastica
Il
Concordato del 1929 non è stato un fulmine a ciel sereno nella realtà politica
e culturale italiana quanto piuttosto il compimento di un processo iniziato con
la progressiva affermazione del fascismo. Già al principio del 1928 era stato
emanato il testo unico delle leggi concernenti l’istruzione elementare che
recita:
«A
fondamento e a coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto
l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla
tradizione cattolica […]. Sono esentati dall’istruzione religiosa nella scuola
i fanciulli i cui genitori dichiarino di volervi provvedere personalmente»
(regio decreto 5 febbraio 1928 n. 577)36.
Pagano
ricorda giustamente un secondo testo significativo – il regolamento generale,
emanato con il regio decreto 26 aprile 1928 n. 1297 – in cui si precisano
aspetti come le ore di insegnamento (art. 108), il meccanismo dell’idoneità e
di nomina degli insegnati di religione (artt. 109, 110 e 111), l’obbligo per i
genitori e gli esercenti la patria potestà intenzionati a esentare i propri
figli dall’insegnamento religioso cattolico di presentare una dichiarazione
scritta, indirizzata al direttore didattico di istituto (art. 112). Questa
linea di tendenza porterà, l’11 febbraio 1929, alla firma dei Patti
Lateranensi. In essi viene confermato il principio, già consacrato nel primo
articolo dello Statuto albertino, secondo cui: «la Religione Cattolica,
Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato».
Con questa
firma Mussolini – l’uomo che «la Provvidenza Ci ha fatto incontrare», per
riprendere le note parole di Pio XI37 – aveva messo a tacere ogni forma di
dissenso. Sulla base dello Statuto del 1848 venne sottoscritta la dichiarazione
seguente:
«L’Italia
considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento
della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica.
E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole
pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo
programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato. Tale
insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi,
approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e
professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato da parte
dell’Ordinario Diocesano. La revoca del certificato da parte dell’Ordinario
priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare. Pel detto
insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri
di testo approvati dall’autorità ecclesiastica»38.
Successivamente
ci si curò di regolare, con un apposito provvedimento, la questione dei
rapporti con le confessioni diverse da quella cattolica (legge 24 giugno 1929
n. 1159). Questa legge sostituì, all’art. 1, la dizione «culti tollerati» del
regio decreto del 1848 con la formula «culti ammessi». Col senno di poi, i
valdesi e gli altri evangelici italiani sarebbero stati più prudenti
nell’accogliere una tale modifica con smisurato entusiasmo, come giustamente
osserva Jean-Pierre Viallet39. La politica di autodifesa e di rassegnato
silenzio che caratterizzò gli anni del regime fascista non permise ai valdesi e
agli evangelici italiani, se non in alcune frange minoritarie, di rendersi
pienamente conto di quale era la reale posta in gioco e di ciò che stava
succedendo40.
Giorgio
Peyrot ha giustamente fatto notare che il fascismo non ha mai accettato la
concezione cattolica della scuola anche se ha utilizzato l’insegnamento della
religione a cui ha riconosciuto un valore educativo e morale, limitando il
ruolo e la presenza dell’autorità ecclesiastica nella scuola, avocando allo
Stato il compito dell’insegnamento religioso nella scuola e infine garantendo
la libertà di coscienza degli alunni di altra religione con l’istituto della
dispensa. Il fascismo non ha mai accettato la visione cattolica della scuola
secondo cui «la Chiesa dovrebbe avere unapotestà
diretta sull’insegnamento
religioso ed una indiretta su tutte le altre materie di studio»41. Solo quando
furono pubblicate le norme di attuazione della legge sui culti ammessi ci si
rese conto del loro carattere fortemente restrittivo42. Con il Concordato del
1929 l’insegnamento religioso diventa obbligatorio nella scuola di Stato, non
soltanto nelle scuole elementari, ma viene esteso anche alla scuola media. Chi
cattolico romano non è ricorrerà all’esonero da tale insegnamento, e questa
prassi resterà in vigore fino alla revisione del Concordato del 1984. Un
ulteriore irrigidimento confessionale avvenne successivamente con
l’introduzione dei nuovi programmi didattici per le scuole elementari e materne
con il decreto-legge 24 maggio 1945 n. 459, che favorì il dilagare
dell’‘insegnamento diffuso’ della religione cattolica oltre a quello ‘speciale’
di tipo catechistico, con un proprio orario43. Il progressivo scivolamento in
questa direzione fece sì che l’insegnamento della religione cattolica perse il
profilo di una materia d’insegnamento e che gli insegnanti di religione
assunsero sempre più, con grande disinvoltura, il ruolo di ‘esperti
d’umanità’44.
L’Assemblea
Costituente e gli articoli 7 e 8 della Costituzione
La fine
della seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo insieme al referendum
popolare che trasformò l’Italia da Regno a Repubblica ponevano l’esigenza di
individuare le nuove basi per l’avvio di una vita nazionale nel segno della
libertà e della democrazia. Ci si aspettava pertanto che dalla Costituente
potesse emergere una visione dello Stato capace di superare definitivamente
l’idea di Stato confessionale – qual era l’Italia – e di guardare al problema
dell’insegnamento religioso nella scuola di Stato in una nuova ottica. Le cose
però andarono diversamente. Gli evangelici italiani e gli ebrei, che avevano
partecipato in modo attivo alla Resistenza, si spesero con grande generosità a
favore della libertà religiosa e della laicità dello Stato.
Dopo
ripetuti interventi rivolti all’Assemblea Costituente, il 3 marzo 1947 l’Unione
delle comunità israelitiche inviò un documento ufficiale sul progetto in
discussione, sottoscritto dal presidente dell’Unione Raffaele Cantoni, in cui
si afferma tra l’altro:
«È
superfluo osservare […] che i concetti di parità e di uguaglianza escludono non
soltanto quello di ‘tolleranza’ dello Statuto albertino, ma anche quello di
ammissione, delle leggi fasciste. Lo Stato non deve né ‘tollerare’ né
‘ammettere’. Esso deve dichiarare e riconoscere semplicemente che ognuno ha il
diritto di professare o non professare un culto, e che, professando o non
professando, resta un cittadino come tutti gli altri […]»45.
Gli
evangelici, dal canto loro, istituirono subito un Consiglio federale come voce
ufficiale per rappresentare la loro posizione alla Costituente. Numerosi furono
gli interventi e le dichiarazioni dei protestanti italiani sul tema della
libertà religiosa. Il Centro evangelico di cultura di Roma riassunse la propria
posizione in tre principi fondamentali: la piena e «completa libertà di
coscienza e di religione», l’«assoluta indipendenza di tutte le Chiese» e la
«neutralità religiosa», che non vuol dire:
«professione
di ateismo, ma imparzialità dello Stato, non confessionale e libero da ogni
ingerenza ecclesiastica. Alla parità dei culti e all’eguaglianza dei cittadini
indipendentemente dal culto professato, consegue la libera attività delle
Chiese, la laicità della scuola pubblica e la libertà dell’insegnamento
religioso privato. Nella libertà e nella parità nessuno è diminuito nei suoi
diritti, ma ciascuno vive nel mutuo rispetto di tutte le esigenze
spirituali»46.
La voce
protestante e quella ebraica non riuscirono però a far breccia in mezzo ai
compromessi politici fra democristiani e comunisti che si erano ormai delineati
e alla loro posizione sulla libertà religiosa – come quella di autorevoli voci
laiche: Lelio Basso e Piero Calamandrei fra tutti – non fu riservata grande
considerazione. Si giunse così all’approvazione degli articoli 7 e 8 della
Costituzione47.
Il 25
marzo 1947 la maggioranza dell’Assemblea costituente, con il voto determinante
del Partito comunista, decise di richiamare nella Carta costituzionale
dell’Italia democratica i Patti Lateranensi, un vero e proprio corpo estraneo
alla vita democratica e alla libertà religiosa di un paese moderno. Piero
Calamandrei, che si era opposto a quella decisione con grande tenacia, commentò
la votazione con queste parole:
«Quando fu
proclamato il risultato (359 favorevoli e 149 contrari) nessuno applaudì,
nemmeno i democristiani, che parevano fortemente contrariati da una vittoria
raggiunta con quell’aiuto. Neppure i comunisti parevano allegri; e qualcuno
notò che uscendo a tarda ora da quella seduta memoranda, camminavano a fronte
bassa e senza parlare»48.
Il peso di
questa decisione fu tale che neppure la revisione concordataria del 1984 riuscì
a incidere sulla sostanza del problema. Come diremo fra poco, l’enorme macigno
che condiziona la vita democratica italiana in tutte le sue molteplici
dimensioni è tuttora assai difficile da rimuovere. Sergio Lariccia49 ha messo
in evidenza le numerose contraddizioni – esse stesse lesive, peraltro, del
principio fondamentale della libertà religiosa – che questa decisione ha
comportato per la vita democratica del nostro paese: contraddizioni che si sono
ripetute, mutatis mutandis, anche
all’indomani della firma del nuovo Concordato (1984).
La
revisione del Concordato del 1984. Verso la fine dello Stato confessionale?
La
revisione del Concordato del 1984 avrebbe dovuto tradurre nella pratica il
necessario aggiornamento nei rapporti Stato-Chiesa invocato dal concilio
Vaticano II. Ciò che non si era osato fare prima, nonostante i diversi
tentativi compiuti dai vari governi succedutisi tra la fine degli anni Sessanta
e l’inizio degli anni Ottanta50, e che avrebbe forse permesso una più dignitosa
revisione concordataria, avvenne sotto la presidenza del socialista Bettino
Craxi. Il presidente del Consiglio, animato da grandi propositi, finì per
sottoscrivere un testo che ben poco aveva a che fare, in realtà, con la
migliore tradizione socialista, e ancor meno con gli orizzonti di apertura e di
novità profilati dal concilio Vaticano II. Ancora una volta la politica
vaticana era riuscita a dettare la propria legge, rifiutando di prendere in
esame la posizione di quei cattolici che, nella scia degli elementi di novità
introdotti dal concilio Vaticano II, erano pronti a impostare in modo nuovo
l’insegnamento della religione nella scuola di Stato, prendendo atto sia del
pluralismo religioso esistente in Italia, sia di nuove esigenze dettate dalla
moderna pedagogia religiosa51. Queste idee innovative, espresse da illustri
pedagogisti e da uomini politici anche democristiani, non furono tenute in
alcun conto. In concreto, tra le diverse ipotesi circolanti in quel periodo, la
più plausibile era quella di attivare, all’interno della scuola, un duplice
insegnamento: uno di cultura religiosa, obbligatorio, aconfessionale, rivolto a
tutti gli studenti, e un secondo – invece confessionale – facoltativo. Era
l’ipotesi del ‘doppio binario’, che venne però bocciata dagli organi ufficiali
della Chiesa cattolica e considerata con sospetto da molti laici52. Vanno
altresì menzionati l’impegno anticoncordatario delle Comunità cattoliche di
base (Cdb), i numerosi convegni e documenti in cui si richiedeva l’abolizione
dell’insegnamento religioso nella scuola53 e ancora il movimento Cristiani per
il socialismo54. È importante ricordare questi movimenti e le iniziative da
loro allestite – che videro la partecipazione anche di numerosi giovani
protestanti italiani – perché essi testimoniavano la presenza di una voce viva
del cristianesimo italiano: di un cristianesimo che cercava il cambiamento e
che era animato, in definitiva, da una forte volontà ecumenica, di rinnovamento
‘anticostantiniano’ della Chiesa e della società.
Il 18
febbraio 1984 vennero stipulati, come noto, gli accordi di Villa Madama. Sul
tema dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato, il
nuovo testo concordatario prevede quanto segue:
«La
Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo
conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del
popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della
scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non
universitarie di ogni ordine e grado. – Nel rispetto della libertà di coscienza
e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il
diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. –
All’atto di iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale
diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa
dar luogo ad alcuna forma di discriminazione» (art. 9, comma 2).
Nel complesso,
l’accordo ha ben poco a che fare con lo ‘spirito’ del Vaticano II. Questo
risulta evidente soprattutto se si considera il passaggio della costituzione
pastorale Gaudium et spes in cui si dichiara la
disponibilità della Chiesa a «rinunciare», per testimoniare con maggiore
coerenza il Vangelo, «a certi diritti legittimamente acquisiti» (§ 76).
Butturini
osserva che rappresenta certamente un elemento di «incongruenza» il fatto che
da un lato si riconosca il valore della cultura religiosa e l’appartenenza dei
principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano, mentre
dall’altro si faccia poi appello alla libertà di coscienza rispetto alla
possibilità di avvalersi o di non avvalersi di tale insegnamento. Parimenti
contraddittorio è inoltre il fatto di ammettere una scelta pretendendo che essa
non comporti, di per se stessa, «una discriminazione»55. In realtà, cosa viene
offerto a chi sceglie di non avvalersi dell’insegnamento della religione
cattolica? E di fronte a un insegnamento confessionale che non offre
alternative concrete, praticabili, l’esercizio della libertà di coscienza non
rischia di ridursi a una semplice ‘libertà di ignoranza’? Se è venuto a cadere
il riferimento al «fondamento e coronamento» presente nel Concordato del 1929,
l’insegnamento confessionale cattolico si è ulteriormente ampliato, ma
soprattutto si è confermata la norma per la quale i docenti, pur pagati dallo
Stato, sono scelti dalle curie.
La nuova
concezione concordataria è espressa dal concetto di ‘cooperazione’ tra Chiesa
cattolica e Stato in vista della maturazione culturale degli alunni. In questa
prospettiva si tiene a chiarire che l’insegnamento della religione cattolica
non è una forma di catechesi, bensì la proposizione di una «cultura religiosa»
da elaborare nel «quadro della scuola [pubblica]» (legge 25 marzo 1985 n. 121).
È una delle tante incongruenze dell’accordo, perché se così fosse, non si
capirebbe allora perché siano ancora i vescovi a dover scegliere gli insegnanti
di religione cattolica. Il magistrato Gian Paolo Meucci ha sostenuto che la
soluzione tracciata dal nuovo Concordato costituisce un vero e proprio
tradimento della funzione educativa nei confronti delle nuove generazioni,
perché sia lo Stato che la Chiesa sono venuti meno, di fatto, ad una delle
missioni fondamentali: essere delle «comunità educanti, e non esclusivamente i
sostenitori e i rivendicatori di principi, ideologie e situazioni di potere
interessanti le due istituzioni e, comunque, la sensibilità e le scelte
politiche degli adulti»56.
Si è così
pronunciata la parola ‘fine’ a tutto quel movimento di rinnovamento cattolico
che aveva caratterizzato il dibattito pedagogico, culturale e politico
concernente le modalità di insegnamento della religione nella scuola e che
aveva saputo coinvolgere i luoghi istituzionali di formazione, gli insegnanti e
le riviste specializzate. Lelio Basso, in un discorso pronunciato in Senato il
7 dicembre 1978 durante il dibattito sulla revisione del Concordato, dopo aver
osservato che «l’utopia dell’abrogazione del Concordato era rimasta fuori
dall’aula» dichiarò con voce ferma:
«io non ho
timore di confessare questa utopia, come non ho timore di confessare l’altra
utopia, la più grande e la più pericolosa, che tutti gli uomini, come è scritto
nella nostra Costituzione, avranno un giorno su questa terra pari e piena
dignità sociale, saranno da tutti considerati fini e non strumenti del potere
altrui»57.
L’intesa
stipulata successivamente fra il governo e l’episcopato (decreto del Presidente
della Repubblica 16 dicembre 1985 n. 751) ha riconosciuto lo statuto di
«dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline» (art. 4
comma 1) all’insegnamento della religione cattolica. Se da un lato dunque, a
136 anni di distanza dallo Statuto albertino, si sollecitava con un apposito
provvedimento normativo la fine della religione di Stato, dall’altro la
revisione del Concordato del 1984 rappresentava il coronamento della politica
della Chiesa cattolica.
Le intese:
quale insegnamento religioso nella scuola?
L’art. 8
della Costituzione richiedeva, però, anche un’iniziativa dello Stato nei
confronti delle minoranze religiose, se non altro in considerazione del fatto
che lo Stato medesimo non aveva sino ad allora assunto alcuna iniziativa
concreta in quella direzione. Così, all’indomani dell’approvazione del nuovo
Concordato fra Stato e Chiesa cattolica, venne approvato il testo della prima
‘intesa’ con una confessione religiosa diversa da quella cattolica: la Chiesa
valdese, ufficialmente rappresentata dal suo organo esecutivo: la Tavola
valdese.
Secondo
l’art. 8 della Costituzione anche le minoranze religiose sono «egualmente
libere» davanti alla legge. Non solo. Esse ora sono anche invitate a regolare
il loro rapporto con lo Stato attraverso la stipula di appositi accordi
bilaterali. I valdesi in particolare – che da sempre avevano sostenuto la
necessità di un regime separatista – avrebbero dovuto ridefinire la loro
posizione: non più «tollerati», non più riconosciuti come «culti ammessi» ma
come soggetti capaci di un’intesa con lo Stato58. Tuttavia, rispetto alla
questione specifica dell’insegnamento religioso nelle scuole, che tipo di
impostazione avrebbe adottato una comunità confessionale che nessun’altra
opportunità aveva avuto, se non quella dell’esonero?
Per i
valdesi, che furono i primi a stipulare l’intesa, era chiaro che per la loro
storia e la loro cultura non avrebbero potuto accettare l’idea di un
insegnamento confessionale della religione nella scuola pubblica, e lo stesso
si può dire degli ebrei. Al tempo stesso, però, i valdesi riconoscevano
l’importanza della scuola come luogo di formazione di una cultura religiosa per
le nuove generazioni. Era anzi la loro stessa storia a richiedere un tale
riconoscimento. Tuttavia, come sarebbe stato possibile per loro accedervi, se
la Chiesa cattolica non avesse rinunciato – come sembrava non voler fare – alla
caratterizzazione in senso confessionale dell’insegnamento religioso? L’iter di
preparazione dell’intesa innescò un appassionato dibattito interno al mondo
valdese. Già nel febbraio 1978 la Tavola aveva concluso, per parte sua,
l’elaborazione della proposta che sarebbe stata poi presentata allo Stato in
vista dell’accordo. Le autorità statali, tuttavia, ritennero opportuno
archiviare temporaneamente la proposta dei valdesi. Questo perché esse temevano
che un’approvazione dell’intesa con i valdesi avrebbe potuto rappresentare,
data anche l’impostazione laica del loro operato, un precedente pericoloso per
l’eventuale revisione del Concordato fra Santa Sede e Stato italiano.
Gli artt.
9 e 10 dell’intesa sono definiti sulla base degli artt. 3, 8 e 33 della
Costituzione ovvero secondo un dichiarato approccio ‘anticoncordatario’, che i
valdesi speravano potesse farsi strada anche nel Parlamento italiano. Così non
fu. La proposta d’intesa avanzata dai valdesi – che nell’ottica del suo
principale artefice, il professor Giorgio Peyrot, avrebbe potuto indicare
all’Italia un concreto percorso di affrancamento da una visione confessionale
dell’insegnamento religioso – venne discussa e approvata soltanto ‘dopo’ il
raggiungimento dell’accordo fra Santa Sede e Stato italiano. In tal modo,
l’intesa con la Tavola valdese (sancita dalla legge 11 agosto 1984 n. 449), e
il suo portato di laicità, venne non solo preventivamente disinnescata, ma
anche considerata su un piano di subalternità all’accordo concordatario.
La
posizione dell’intesa dei valdesi sulla cultura religiosa e sull’insegnamento
della religione nella scuola è contenuta negli artt. 9 e 10. L’art. 9, poi
recepito dallo Stato, recita:
«La
Repubblica italiana prende atto che la Tavola valdese, nella convinzione che
l’educazione e la formazione religiosa dei fanciulli e della gioventù sono di
specifica competenza delle famiglie e delle chiese, non richiede di svolgere
nelle scuole gestite dallo Stato […] l’insegnamento di catechesi o di dottrina
religiosa o pratiche di culto».
Siccome
però la repubblica italiana «assicura l’insegnamento della religione cattolica
nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori»,
ecco che essa avrebbe dovuto riconoscere «agli alunni di dette scuole, al fine
di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi
delle pratiche e dell’insegnamento religioso per loro dichiarazione, se maggiorenni,
o altrimenti per dichiarazione di uno dei loro genitori o tutori». Infine, si
prevedeva anche che «l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica
religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non
avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell’insegnamento di altre materie,
né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque
discriminanti».
In questo
passaggio del testo si voleva precisare in modo chiaro che non avrebbe dovuto
verificarsi confusione alcuna tra le competenze della famiglia e della Chiesa e
quelle della scuola – che è di tutti – e, di conseguenza, che non si voleva
proporre un autentico insegnamento religioso confessionale. Da parte sua, lo
Stato riconosceva agli studenti valdesi il diritto di «non avvalersi»
dell’insegnamento religioso.
L’art. 10
dell’intesa è rivolto invece verso l’esterno, in un’ottica di disponibilità
verso la scuola di Stato, ma in uno spirito di laicità:
«La
Repubblica italiana, allo scopo di garantire che la scuola pubblica sia centro
di promozione culturale, sociale e civile aperto all’apporto di tutte le
componenti della società, assicura alle Chiese rappresentate dalla Tavola
valdese il diritto di rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli
alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio
del fatto religioso e delle sue implicazioni. Le modalità sono concordate con
gli organi previsti dall’ordinamento scolastico. Gli oneri finanziari sono a
carico degli organi ecclesiastici competenti».
Queste
indicazioni di disponibilità culturale – che qualcuno interpretò addirittura
come una ‘larvata forma di miniconcordato’ (sic!) – furono messe fuorigioco nel
momento stesso in cui s’introdussero le ‘attività alternative’ all’insegnamento
della religione cattolica nelle scuole, di cui però nel testo dell’intesa non
si faceva parola, e che furono escogitate solo in una fase successiva per
«aggirare le prescrizioni» dell’accordo già stipulato59. Il giurista valdese
Aldo Ribet ha ricordato in proposito che:
«lo studio
del fatto religioso nei suoi vari aspetti e nelle sue implicazioni è talmente
importante nella formazione dei giovani da dover trovare ingresso nella scuola
pubblica. Esso non può, peraltro, avere carattere confessionale, né costituire
monopolio di una confessione […]. La scuola pubblica deve aprirsi, sotto il
profilo culturale, all’apporto del maggior numero possibile delle componenti
della società, ai fini di una informazione ampia che consenta e favorisca il
dialogo ed il confronto»60.
Bisogna
riconoscere, in ogni caso, che neppure i valdesi – i primi a concludere
l’intesa con lo Stato, in quella situazione – avevano idee ben chiare su ‘come’
affrontare il problema dell’insegnamento religioso nella scuola di Stato,
essendo sempre stati costretti a organizzare la loro ‘difesa’ di fronte alla
religione di Stato61. Quel che potevano manifestare apertamente era però la
loro chiara posizione a favore di una scuola laica, in cui il discorso
religioso non poteva essere concepito in termini confessionali62.
Più
complesso fu l’iter dell’intesa dello Stato con le comunità ebraiche63, che
erano separatiste da sempre e che avevano definito il proprio status giuridico
per la prima volta con la legge del 30 ottobre 1930, dunque in piena epoca
fascista. Esso andava ormai rivisto e aggiornato. L’intesa, iniziata nel 1977,
si concluse solo dieci anni dopo, il 27 febbraio 1987. I rappresentanti
dell’Unione israelitica cercarono di evitare gli equivoci sorti dopo l’intesa
con i valdesi, soprattutto nei confronti del cosiddetto insegnamento diffuso e
degli orari discriminanti. All’atto della firma dell’intesa venne inserita, nel
relativo verbale, una sorta di ‘interpretazione autentica’ del punto di vista
ebraico: segno di un’evidente ambiguità presente nel testo stesso
dell’accordo64.
Una
battaglia aperta
Il 14
dicembre 1985 fu apposta dunque la firma all’intesa sull’insegnamento della
religione cattolica nelle scuole statali. Il ministero italiano della Pubblica
Istruzione era rappresentato dalla democristiana Franca Falcucci, la Cei dal
cardinal Ugo Poletti. L’accordo comporta quattro punti essenziali: a) programmi
di insegnamento; b) modalità di organizzazione di tale insegnamento; c) criteri
di scelta dei libri di testo; d) profili di qualificazione professionale degli
insegnanti di religione. Il contenuto di questo accordo suscitò delle forti
reazioni sia da parte laica che da parte del consiglio della Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e del consiglio dell’Unione delle comunità
israelitiche. Le critiche riguardavano in modo particolare la collocazione
delle ore di insegnamento riservate alla religione nell’orario scolastico
complessivo, la presenza dell’insegnante di religione nel consiglio di classe e
della voce ‘religione’ nella pagella scolastica, nonché il fatto che la scelta
di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento religioso dovesse essere
espressa all’inizio di ogni ciclo scolastico e avere effetto automatico per
tutti gli anni successivi al primo. Infine, si deplorava il fatto che il testo
dell’intesa non fosse stato posto in discussione in Parlamento65. Tutte
questioni che provocarono reazioni a catena sull’interpretazione corretta delle
conseguenti norme applicative.
La
battaglia in difesa della laicità della scuola resta dunque aperta, soprattutto
dopo che la legge sulla libertà religiosa – che sembrava ormai pronta per
l’approvazione, dopo aver superato lunghe discussioni parlamentari – è stata
improvvisamente bloccata in seguito all’intervento del presidente della Cei
monsignor Angelo Bagnasco, che ha rivendicato uno statuto particolare per la
confessione cattolica.
Gli
studenti e le famiglie che hanno scelto di ‘non avvalersi’ dell’insegnamento
della religione cattolica si sono trovati, in molti casi, di fronte a un vuoto
di assunzione di responsabilità da parte della scuola. L’intesa
Falcucci-Poletti, di cui s’è appena detto, ha rimesso in discussione il
principio della pari dignità religiosa e la laicità dello Stato nella prassi
scolastica. Certo, nel testo dell’intesa erano state apportate alcune novità di
rilievo: chi preferiva non avvalersi dell’insegnamento religioso non aveva ora
più bisogno dell’esonero, essendo diventato l’insegnamento della religione
cattolica facoltativo. Per contro, l’insegnamento della religione cattolica
nella scuola elementare veniva incrementato di una seconda ora settimanale e
anche introdotto nella scuola materna statale, in contrasto con la legge del
1969, che aveva escluso un insegnamento confessionale in tali istituti per
ragioni sia pedagogiche che sociali.
La
battaglia per la difesa della laicità66 e per la non discriminazione degli
studenti che decidevano di non avvalersi dell’insegnamento della religione
cattolica venne a toccare alcuni punti nevralgici dell’applicazione delle norme
messe in atto dall’accordo Falcucci-Poletti, e le successive normative hanno
provocato forti reazioni nell’opinione pubblica, negli ambienti laici come in
quelli evangelici, nella comunità ebraica e non da ultimo fra molti cattolici
democratici. In particolare, l’obbligo della scelta dell’ora alternativa – a
cui la scuola non ha mai dato un profilo dignitoso – ha provocato numerosi
ricorsi, prese di posizione dei tribunali amministrativi regionali e alcune
sentenze della stessa Corte costituzionale67.
Tutto ciò
non ha però impedito ai vari ministri della Pubblica Istruzione via via
succedutisi di proseguire sulla strada di una ‘ri-confessionalizzazione’ dello
Stato: durante il governo di Romano Prodi come pure durante i governi guidati
da Silvio Berlusconi. Nel primo caso, a fine legislatura, con la circolare 22
aprile 2008 n. 45, il ministro uscente della Pubblica Istruzione Giuseppe
Fioroni ha dettato precise disposizioni circa le «Indicazioni per il curricolo
[per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione] relativamente
all’insegnamento della religione cattolica». Il testo ministeriale ha accolto,
senza obiettare, la richiesta della presidenza della Cei di ‘armonizzare’ la
religione cattolica alle altre materie d’insegnamento – proposta che porta con
sé l’idea che l’intera attività educativa della scuola pubblica debba essere
permeata dalla dottrina cattolica. Ed è stato ancora il ministro Fioroni a
istituire, a vantaggio degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della
religione cattolica, un apposito ‘credito scolastico’ ai fini della media dei
voti di profitto da calcolare in vista degli esami di maturità: cosa che invece
è solo teoricamente possibile per chi sceglie una materia alternativa, che la
scuola non garantisce68. Il ministro Mariastella Gelmini non si è discostata
dalla politica del suo predecessore, e ormai si ha la netta impressione di non
esser poi così lontani dallo spirito dell’art. 36 del Concordato del 1929, che
considera la dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione
cattolica quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica». Almeno,
questo lascia intendere l’intervento tenuto dal cardinal Bagnasco durante
l’assemblea degli insegnanti di religione a Roma (23-25 aprile 2009) in
presenza del ministro Gelmini.
Dalla
‘provincia italiana’ all’Europa
In quanto
membro fondatore dell’Unione Europea, l’Italia è in relazione permanente con
quanto avviene nella programmazione comunitaria in ambito politico, economico,
culturale. Dal Consiglio d’Europa, come dagli altri organismi istituzionali,
giungono delle direttive di orientamento che ogni paese è invitato a rispettare
e a realizzare secondo lo spirito di libertà democratica e costituzionale
orientato alla creazione d’una comune cittadinanza europea69. È per l’appunto
in quest’orizzonte che si colloca la problematica religiosa in tutte le sue
articolazioni. D’altra parte, l’Italia è anche il paese europeo che ospita nel
suo territorio lo Stato del Vaticano e, in conseguenza di ciò, non appena si
parla di religione, il discorso tende inevitabilmente a complicarsi per la
presenza di ‘uno Stato nello Stato’. In Italia si ritiene ancora possibile
salvare quel che resta – lo zoccolo duro – del cattolicesimo tradizionale e
conservatore, capace di resistere alla secolarizzazione e al liberalismo, al
pluralismo della modernità avanzata, al relativismo dei valori, più che in
altri paesi. Una difesa a oltranza dei valori cattolici considerati ‘non
negoziabili’ che si scontra con la realtà del pluralismo religioso e culturale
del paese, e che viola, al tempo stesso, la pari dignità di un confronto
culturale e religioso con le altre Chiese cristiane e con le altre religioni.
Il
Consiglio d’Europa è intervenuto più volte per tutelare la libertà di pensiero,
di coscienza e di religione. Ricordo soltanto alcune fra le molte
raccomandazioni indirizzate ai paesi membri.
Nella
raccomandazione n. 1178 del 1992, concernente le coordinate generali
dell’educazione, si afferma fra l’altro che essa «dovrebbe comprende
un’informazione concreta e obiettiva sulle religioni maggiori e le loro
principali varianti, sui principi di studio comparativo delle religioni e
sull’etica e i diritti personali e sociali». E una successiva raccomandazione –
la n. 1202 del 1993 – invita gli Stati a promuovere «una presentazione
differenziata e accurata delle religioni nei manuali (specie nei testi di
storia) e nella didattica al fine di migliorare e approfondire la conoscenza
delle diverse religioni». Così pure, nelle ultime battute di un seminario
tenutosi a Lovanio nel 2002, sempre sotto l’egida del Consiglio d’Europa, si
affermava (al punto n. 5 del comunicato conclusivo):
«la
costruzione dell’Europa di domani esige lo sviluppo di una cultura politica che
superi gli antagonismi. Di qui la necessità di identificare fondamenti etici
dei principi che regolano la vita delle nostre società. Le religioni, matrici
culturali e comuni di questi fondamenti e di questi principi, hanno un ruolo
importante da svolgere in questo processo. Anche perché democrazia e religione
hanno in comune l’idea del riconoscimento e del rispetto dell’altro».
Né può
essere dimenticata l’importante raccomandazione n. 1720, approvata nel 2005
dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sul tema ‘scuola e
educazione’ (v. in part. art. 4, commi 1-6). Sempre il Consiglio d’Europa ha
pubblicato, il 7 maggio 2008, un ‘libro bianco’ sul tema del dialogo
interculturale, che ha come titolo Vivere insieme nell’uguale dignità.
In questo documento si afferma fra l’altro che: «[…] la sfida di una vita
insieme in una società di diversi può essere affrontata soltanto se possiamo
vivere insieme con pari dignità» (§ 1.3, 17). I curatori del lavoro dedicano
un’attenzione particolare alla dimensione religiosa. Essi riconoscono che
l’eredità culturale dell’Europa risulta articolata in una ricca gamma di
concezioni della vita, religiose e secolari: il cristianesimo, l’ebraismo e
l’islam hanno segnato in modo profondo il continente europeo. Di conseguenza
«la
pratica religiosa rappresenta una componente della vita umana contemporanea e
perciò non può né deve essere esclusa dalla sfera d’interesse delle autorità
pubbliche, anche se lo Stato deve preservare il proprio ruolo di garante neutro
ed imparziale per l’esercizio delle diverse religioni, fedi e credenze».
E nella
scia del libro bianco di Strasburgo, il comitato formato dai 46 ministri degli
Affari esteri degli Stati membri aderenti al Consiglio d’Europa ha diramato,
nel dicembre 2008, un’importante raccomandazione destinata ai corrispondenti
ministri dell’Istruzione, perché provvedano «a far prendere nella debita
considerazione» nei rispettivi sistemi educativi «la dimensione delle religioni
e delle convinzioni non religiose nella educazione interculturale, al fine di
rinforzare i diritti dell’uomo, la cittadinanza democratica e la partecipazione»
(Annesso alla raccomandazione, punto n. 1).
Un altro
importante documento – le Linee guida di Toledo70:
quasi ignorate, purtroppo, nel contesto italiano – ha poi sottolineato un
aspetto di grande attualità ovvero che esiste oggi un «crescente consenso»
degli educatori sul fatto che la conoscenza delle religioni e delle credenze
religiose costituisca di per se stesso un elemento positivo: un elemento di
primaria importanza per la qualità dell’educazione, in grado oltre tutto di
promuovere la formazione di una cittadinanza democratica e di sollecitare
valori fondamentali quali anzitutto il rispetto reciproco e appunto la libertà
religiosa. Sulla base di questa convinzione, nel documento si afferma:
«Mentre le
decisioni concernenti le questioni di fede devono essere protette come scelte
personali, nessun sistema educativo può permettersi di ignorare il ruolo delle
religioni e delle credenze nella storia e nella cultura. L’ignoranza su questi
problemi può alimentare l’intolleranza e la discriminazione e può portare alla
formazione di stereotipi negativi»71.
Nell’ottica
del documento di Toledo, la prospettiva e la finalità dell’insegnamento
religioso, pur senza interferire in alcun modo nell’autonoma gestione dei
modelli giuridici e didattici in atto nelle diverse nazioni, sono di
« […]
capire che l’insegnamento delle religioni e delle credenze non ha un
orientamento devozionale e ‘denominazionale’. [Esso] si sforza di trasmettere
agli studenti la sensibilità per le religioni e le credenze, non di fare pressioni
perché lo studente ne accetti una in particolare; sostiene lo studio ma non la
pratica delle religioni e delle credenze; può esporre agli studenti la
diversità dei punti di vista religiosi e non religiosi, ma non impone alcun
punto di vista particolare; educa alla conoscenza delle religioni e delle
credenze senza promuoverne o denigrarne alcuna; informa gli studenti sulla
varietà delle religioni e delle credenze ma non cerca di conformare o di
convertire gli studenti a una particolare religione o credenza»72.
Il
documento di Toledo, inoltre, riprende – sottolineandone la centralità – il
problema della discriminazione: mai scongiurata una volta e per tutte. In
questo senso esso richiama le risoluzioni adottate da una serie di assemblee e
organizzazioni internazionali, pronunciatesi a più riprese sul tema della
difesa dei diritti umani in relazione alle religioni e al loro insegnamento
nell’ambito della scuola. In particolare, esso richiama all’attenzione il Documento
di Vienna (1989), in
cui si invita ad assumere tutte le misure necessarie per «prevenire ed
eliminare le discriminazioni nei confronti degli individui o delle comunità a
motivo della religione o del credo […] e di assicurare un’effettiva uguaglianza
tra credenti e non credenti»73. E con ciò si accosta un ulteriore problema, che
raramente viene affrontato con la necessaria attenzione e sensibilità:
normalmente, ci si preoccupa soltanto di chi dichiara un’appartenenza religiosa
senza però considerare seriamente la situazione di chi, pur non professando un
particolare credo religioso, avverte comunque l’esigenza di ricevere
un’istruzione adeguata in merito alla cultura delle religioni: perché in mezzo
ad esse vive. A questo riguardo può essere utile ricordare le parole della
Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 1993 sentenziava:
«[…] la
libertà di pensiero, di coscienza e di religione è uno degli elementi
costitutivi di una società democratica […]. E nella sua dimensione religiosa
costituisce uno degli elementi più vitali per la formazione dell’identità dei
credenti e della loro concezione della vita. Ma è anche una preziosa risorsa
per i non credenti, per gli agnostici, per gli scettici e gli indifferenti. Il
pluralismo, indissociabile da una società democratica, acquisito nei secoli a
caro prezzo, dipende da esso»74.
Il sistema
italiano dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, sordo a ogni
rinnovamento, rischia insomma di creare, nella scuola di Stato, una sorta di
ghetto religioso per coloro che scelgono di avvalersi di tale insegnamento.
Questo accade in evidente contraddizione con le buone intenzioni della Charta
Oecumenica, sottoscritta ufficialmente a Strasburgo nell’aprile
2001 anche dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Basta del resto
dare un’occhiata a quanto è successo nei paesi europei in seguito alla caduta
del muro di Berlino (1989) e alla fine dei regimi comunisti, per constatare il
significativo cambiamento intervenuto in una pluralità di contesti
nell’organizzazione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche75.
Cambiamenti e sperimentazioni hanno coinvolto direttamente anche la Chiesa
cattolica, la quale, nei paesi privi di un concordato, difficilmente s’è
opposta all’ipotesi di un insegnamento religioso non confessionale obbligatorio
per tutti. Si pensi, per citare un esempio a noi vicino, alla prassi entrata in
vigore da alcuni anni in tutte le scuole del cantone di Zurigo, e che è ora in
via di sperimentazione nei cantoni del Ticino e dei Grigioni. In generale, in
tutti i paesi di cultura protestante, dove un tempo il luteranesimo era
religione di Stato, l’insegnamento religioso confessionale è stato
definitivamente abbandonato.
In questi
ultimi anni, in sostanza, ci si è resi conto che gli accordi Falcucci-Poletti,
come anche le intese firmate dalle comunità religiose non cattoliche con lo
Stato italiano, non rispondono assolutamente ai bisogni della scuola moderna,
che nel frattempo si è venuta modificando, specie per effetto del processo di
immigrazione e dei cambiamenti sociali e culturali che hanno interessato il
nostro paese. La prospettiva in cui si situa il discorso religioso è oggi
globale, guarda cioè al crescente pluralismo religioso e culturale. Di
conseguenza, solo un insegnamento religioso comune a tutti, svolto sotto la
diretta responsabilità della scuola76, potrà formare le future generazioni alla
comune cittadinanza europea, arginando al tempo stesso la gramigna del
razzismo, della xenofobia e dell’antisemitismo, che ancora trova qua e là, in
Italia come nel resto dell’Europa, pericolosi ambienti d’incubazione.
Perché
insegnare religione a scuola?
Il fatto
che le religioni, e in particolare la storia delle religioni, trovino un
proprio spazio nella formazione scolastica non è più messo in discussione
neppure in un paese laico come la Francia, che, in seguito al noto rapporto
Débray (2002), ha avviato un processo di inculturazione religiosa trasversale
agli insegnamenti scolastici. La religione è entrata nello spazio pubblico e
rivendica pertanto diritto di conoscenza e di studio. Ciò che invece continua a
rappresentare un problema piuttosto serio è la modalità di questa presenza
nella scuola pubblica.
Ci si può
domandare, oggi, se l’affermazione di Ferdinand Buisson – uno dei primi teorici
del concetto di ‘laicità’ nonché braccio destro di Jules Ferry, celebre
ministro dell’Istruzione negli anni della Terza Repubblica francese – secondo
cui «la grande idea, la nozione fondamentale dello Stato laico, vale a dire la
delimitazione profonda tra il temporale e lo spirituale, è entrata nei nostri
costumi in modo da non uscirne più», sia ancora valida o se essa non sia invece
da rimettere in discussione. È precisamente a questo livello che si colloca il
problema di una distinzione dei compiti e dei ruoli delle Chiese e delle
comunità religiose da un lato e della scuola di Stato dall’altro. Distinzione
di compiti chiamata a evitare i due principali scogli che nel passato hanno
alimentato la conflittualità: la tendenza a stabilire una sorta di
‘monopolizzazione’ del religioso manifestata dalla Chiesa (di maggioranza) e
insieme l’idea che la religione non debba trovare spazio alcuno
nell’insegnamento curricolare nella scuola di Stato. Nella situazione in cui
oggi viviamo, l’insegnamento del fatto religioso nella scuola sembra essere
ancora più necessario che in passato, quando il termine ‘religione’ significava
essenzialmente ‘istruzione nella conoscenza della propria confessione
religiosa’. Ciò che trovava concreta realizzazione nell’ambito della propria
comunità di fede, e che le intese concluse dagli evangelici italiani con lo
Stato prevedono (v. sopra: art. 9 dell’intesa valdese). In ambito cattolico è
la catechesi a dover svolgere questo compito. Il compito della scuola è però un
altro, come del resto conferma lo stesso magistero cattolico, quando sostiene
che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole non intende affatto
proporsi nei termini di una ‘catechesi’. L’insegnamento di religione dispensato
nelle scuole dovrebbe dunque occuparsi di cultura religiosa, non di altro. Ma
qui sta anche il limite, anzi: la contraddizione intrinseca all’attuale
sistema. Infatti, se l’insegnamento della religione non è catechesi, è
possibile ridurre la cultura religiosa italiana alla cultura cattolica?
Inoltre, non hanno una dignità propria le religioni e le confessioni che certo
non hanno una matrice cattolico-romana ma che, pur essendo minoritarie,
esistono in Italia e hanno radici storiche e culturali di lunga data? Infine,
per quanto tempo potrà ancora essere sottovalutata – anche nell’ambito
dell’insegnamento religioso nelle scuole – la crescita esponenziale dell’islam
nel nostro paese? Ci si accorgerà che la soluzione trovata nel 1984, con la
distinzione fra ‘coloro che intendono avvalersi’ e ‘coloro che intendono non
avvalersi’ dell’insegnamento della religione è essa stessa testimonianza di una
cultura religiosa sostanzialmente parziale, il cui esito ultimo è di
mortificare docenti e discenti.
Per
contro, un insegnamento di religione non confessionale rivolto a tutti i
ragazzi, a cominciare dagli allievi della scuola elementare, con programmi
‘leggeri’, alla portata del loro vissuto, che sappia guardare alla realtà
quotidiana (trattando per esempio il significato delle feste e dei riti che si
vivono e che si praticano in famiglia e con i compagni), restituirebbe non
soltanto un volto umano alla pratica religiosa ma introdurrebbe anche un forte
elemento di pacificazione dei conflitti religiosi che permeano la nostra
convivenza, e che hanno la tendenza a radicalizzarsi nel corso dell’adolescenza.
Peraltro, ciò non ha proprio nulla a che fare con il timore di smarrire la
propria identità religiosa. Affrontare in modo critico il fatto religioso nelle
scuole superiori, in una prospettiva sia storica e filosofica che etica,
permetterebbe poi quel confronto di idee e di valori capaci di contribuire alla
formazione della propria identità (si noti, per inciso, che nelle scuole
superiori di molte città del Centro-Nord il 50% e più degli studenti abbandona
l’aula durante l’ora di religione!). Questa prospettiva è forse la sola capace
di disciplinare e far maturare le convinzioni di ogni singolo individuo,
formandolo al rispetto dei punti di vista altrui, delle idee altrui così come
delle altrui visioni della vita in un comune percorso di cittadinanza, nella
cornice del quale le religioni – che giustamente rivendicano un loro proprio
spazio pubblico – sono messe nelle condizioni di rispettare lo spazio che è
invece di tutti: il luogo privilegiato in cui la civiltà e la cultura si
costruiscono, mattone dopo mattone, in cui si esercita la democrazia, in cui
infine l’idea del predominio di una religione sull’altra è stabilmente
abbandonata. Questo è lo spazio in cui, nel comune confronto – fondato a sua
volta su una premessa imprescindibile: la conoscenza reciproca – si supera, di
fatto, l’idea che il ‘diverso’ rappresenti una minaccia per ‘la mia identità’.
È lo spazio che permette di evitare la confusione o meglio l’identificazione
della mia appartenenza religiosa con la mia appartenenza nazionale e dunque con
le svariate forme di ciò che può essere riassunto sotto la categoria di
‘fondamentalismo etnocentrico’. Non da ultimo, questa prospettiva è altresì
rispettosa di quelle famiglie che non intendono impartire alcun credo religioso
ai loro figli. La conoscenza del fatto religioso è altra cosa di un credo. Non
essendo ‘catechesi’ ma ‘cultura religiosa’, essa è conoscenza di una realtà che
anche coloro che non professano alcun credo incontrano nella società in cui
vivono, e che giornalmente sollecita al confronto critico.
Quale
profilo per l’insegnamento della religione nella scuola?
Tra scuola
e comunità religiose deve dunque esistere una relazione costruttiva e non
conflittuale. Pur nella diversità dei propri compiti specifici, esse devono
infatti adempiere a una medesima missione: contribuire alla formazione del
cittadino. Ogni essere umano è chiamato a crescere e a vivere in una comunità
fondata sulla democrazia, sulla libertà, sul rispetto reciproco. È appunto in
questi riferimenti fondamentali che la scuola ritrova il cuore della propria
vocazione. Per realizzare pienamente questo progetto educativo si pone
giustamente l’accento sul principio dell’‘autonomia scolastica’ – un’autonomia
che deve potersi esprimere a più livelli. Certamente, dire autonomia scolastica
significa richiamare l’autonomia istituzionale e organizzativa della scuola,
libera da ogni vincolo clericale e ideologico: non può esserci spazio per
l’idea che una confessione religiosa, per il solo fatto di essere
maggioritaria, imponga a tutti indistintamente la propria legge. Significa però
anche, e anzitutto, focalizzare l’attenzione sull’‘autonomia epistemologica,
pedagogica e didattica’ della scuola in piena conformità al suo statuto.
L’obiettivo dell’insegnamento di religione curricolare è di trasmettere ai
ragazzi una comprensione scientifica e critica del fatto religioso nella
complessità delle sue espressioni, formare i ragazzi a una «intelligenza della
religione»77, perché anche questo insegnamento è parziale e non può proporsi –
per riprendere l’espressione gentiliana – come «coronamento» del sapere
scolastico. Rivendicare l’‘autonomia pedagogica’ dell’insegnamento del fatto
religioso nella scuola di Stato significa dunque riconoscere il suo ‘profilo di
laicità’ o, detto altrimenti, pensare a una scuola che non si pone più come ancilla
ecclesiae, in quanto rivendica l’autonomia del proprio statuto
epistemologico e la propria responsabilità, che è verso tutti, senza
discriminazione alcuna.
Per questo
motivo tale insegnamento non può che essere curricolare per tutti gli allievi,
indipendentemente dalla loro appartenenza o non appartenenza a una comunità
religiosa particolare. Soltanto in quest’orizzonte di laicità riconosciuta e
praticata è possibile parlare, con la necessaria cautela, e soltanto per chi
professa un dato credo religioso, di ‘complementarietà’ tra l’insegnamento
della religione nella scuola e la catechesi delle Chiese o comunità religiose,
perché la scuola è chiamata, in forza del suo specifico statuto, a offrire una visione
del fatto religioso come fatto di cultura, e non altro.
La traccia
di un curricolo didattico di educazione religiosa nella scuola, in questa nuova
prospettiva, è stata più volte e da più parti ipotizzata. Ne riprendo un
esempio a titolo esemplificativo: a) ‘iniziazione’ all’‘alfabeto simbolico’ e
alla ‘grammatica’ del linguaggio religioso, partendo induttivamente dalle
espressioni della religiosità locale per allargare successivamente l’orizzonte
alla più ampia morfologia del comportamento religioso (scuola primaria); b)
‘decodificazione’ dei segni e dei valori esistenziali veicolati dall’universale
esperienza religiosa della persona, partendo dal contesto italiano per
allargarsi all’Europa e al mondo (scuola secondaria di primo grado); c) come
terzo segmento in progressione: ‘approfondita capacità di analisi storico-critica’,
comparativa e antropologico-etica in riferimento, privilegiato ma non
esclusivo, alla dimensione culturale, politica e ai valori espressi dalle
tradizioni cristiane e dalle fedi monoteistiche (scuola secondaria di secondo
grado)78. In quest’orizzonte la scuola è chiamata a farsi promotrice di una
nuova visione del problema religioso nella sua globalità. Il confessionalismo
non sollecita all’integrazione, al contrario, esso è fonte di discriminazione,
accentua ulteriormente le divisioni, non favorisce la conoscenza e l’incontro
fra soggetti ‘diversi’ fra loro.
I limiti
della legislazione italiana del 1984, più volte evocati in questa sede, sono
davanti agli occhi di tutti. Il pedagogista Lino Prenna ricordava, già nel
1997, che l’art. 9.2 dell’accordo fra lo Stato e la Cei – là dove si afferma
che la Repubblica italiana riconosce «il valore della cultura religiosa» in
senso globale – non propone alcuna identificazione della cultura religiosa con
la tradizione del cattolicesimo italiano (a cui si accenna nei successivi
articoli dell’accordo). Dovrebbe dunque rientrare fra le normali responsabilità
dello Stato «l’attivazione autonoma di un corso di cultura religiosa a
carattere storico e critico. Un tale insegnamento, a eventuale profilo interreligioso,
risponderebbe anche alla geografia multiculturale e multireligiosa della nostra
società»79. L’art. 9.2 del nuovo Concordato porta in sé la premessa per
ipotizzare un duplice insegnamento, come suggeriva anche la mozione
sottoscritta da un gruppo di esperti in occasione della presentazione in Italia
deiPrincipi guida di Toledo,
avvenuta all’Università di Perugia il 12 dicembre 2008: «[…] istituire per
[coloro che non si avvalgono] dei corsi [di religione], l’ora alternativa come
vera materia scolastica, attinente all’area sociale-etico-religiosa […]»80. La
prospettiva di un insegnamento religioso scolastico ‘per tutti gli studenti’
non può essere abbandonata. Essa deve essere anzi approfondita, nel dialogo e
nel riconoscimento di una pari dignità fra le diverse religioni81.
Note
1 Come
testimonia per esempio lo scritto sul «dovere di mandare i bambini a scuola»,
inviato dal riformatore a Lazarus Spengler, all’epoca sindaco della città di
Norimberga: D. Martin Luthers Werke, Weimarer Ausgabe (1883-1929),
Band 30/II, Schriften, 1529-1530, pp. 517-588.
2 E.
Genre, Cittadini e discepoli. Itinerari di
catechesi, Torino 2000, pp. 36 segg.
3 E.
Butturini, La religione a scuola. Dall’Unità ad oggi,
Brescia 1987; N. Pagano,Religione
e libertà nella scuola. L’insegnamento della religione cattolica dallo Statuto
albertino ai giorni nostri, Torino 1990.
4 A.
Armand Hugon, Storia dei valdesi, II, Dall’adesione
alla Riforma all’Emancipazione (1532-1848), Torino 1974, p. 300.
5 F.
Tagliacozzo, B. Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società
contemporanea, Firenze 1993, p. 59; più in particolare G. Long, Le
confessioni religiose “diverse dalla cattolica”. Ordinamenti interni e rapporti
con lo Stato, Bologna 1991, pp. 139 segg.
6 V.
Vinay, Storia dei valdesi, III, Dal
movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978),
Torino 1980, p. 188.
7 Cit. in
A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia. Dalla
unificazione a Giovanni XXIII, Torino 1965, p. 38.
8 E.
Buttutrini, La religione a scuola, cit.,
p. 11. A questo proposito Jemolo ricorda queste significative parole di Bon
Compagni: «Tutti i popoli cattolici che entrarono per le vie della libertà, si
guastarono col pontefice, poi, a fatti compiuti, si riconciliarono: non potrà a
meno di riconciliarsi un giorno anche l’Italia. Ma c’è un’osservazione da fare:
queste conciliazioni non si fecero né dagli stessi uomini né dagli stessi
partiti, con cui c’era stato contrasto. Per lo più tra la rottura e la
conciliazione, ci fu una specie di reazione, per cui vennero allo Stato degli
uomini meno teneri di libertà. Anch’io sono sicuro che la conciliazione
dell’Italia con la Chiesa si farà: mi preme che si faccia da coloro che non
sono disposti ad abbandonare alcuno de’ principi liberali», A.C. Jemolo, Chiesa
e Stato in Italia, cit., p. 39.
9 N.
Pagano, Religione e libertà nella scuola,
cit., p. 18.
10 Cfr. R.
Fornaca, La politica scolastica della Chiesa,
Roma 2000, p. 21.
11 Ibidem,
p. 20. Il regolamento 15 settembre 1860 n. 4336 sull’istruzione elementare,
applicativo della legge Casati, così prescrive all’art. 2: «Le parti del
catechismo che dovranno studiarsi in ciascuna classe saranno determinate,
secondo le varie diocesi del Regno, dal Consiglio provinciale sopra le scuole
avutane la proposta del r[egio] ispettore, il quale consulterà a questo fine
gli ispettori di circondario e i direttori spirituali dei ginnasi e delle
scuole tecniche di provincia. Tale distribuzione dovrà essere fatta di guisa
che in due o tre anni i fanciulli abbiano agio di studiare e imparare bene le parti
più importanti della dottrina cristiana. Sono dispensati dallo studio delle
materie religiose, accennati nei programmi delle scuole elementari, i fanciulli
che non professano il culto cattolico». L’art. 140 dello stesso regolamento
annovera poi, fra gli «oggetti» di cui la scuola è tenuta a fornirsi, anche il
crocifisso.
12 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 12.
13 Ibidem,
p. 17; N. Pagano, Religione e libertà nella scuola,
cit., pp. 25-26. Jemolo fa notare che, pur in mezzo a una situazione assai
caotica, caratterizzata dalla produzione di decreti e controdecreti sul tema
dell’insegnamento della religione nella scuola, il periodo che va dal 1850 al
1875, soprattutto gli anni compresi fra l’unificazione del regno e la legge
delle guarentigie, fu una vera «fucina d’idee intorno ai rapporti tra religione
e politica, cattolicesimo e libertà, Chiesa e Stato, officina dove si
foggiavano sistemi sulle relazioni tra i due poteri», A.C. Jemolo,Chiesa e Stato in Italia,
cit., pp. 32-33.
14 Ibidem.
15 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 16.
16 Mia la
traduzione dall’originale francese.
17 B.
Ferrari, La soppressione delle facoltà di teologia
nelle università di stato in Italia, Brescia 1978, pp. 97 segg.
18 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 15.
19 Cfr. G.
Spini, Risorgimento e protestanti,
Napoli 1956, Torino 19983.
20 Cfr.
Camera dei Deputati, Evangelici in Parlamento (1850-1982),
Roma 1999. Sulla significativa figura di Bonaventura Mazzarella cfr. G. Spini, Risorgimento
e protestanti, cit., pp. 338 segg.
21 N.
Pagano, Religione e libertà nella scuola,
cit., p. 23.
22 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 34.
23 Ibidem,
p. 40.
24N.
pagano, Religione e libertà nella scuola,
cit., p. 30.
25 Cfr.
Camera dei Deputati, Evangelici in Parlamento,
cit., pp. 306 segg.
26 Ibidem,
p. 308.
27 Il
settimanale evangelico «Conscientia», edito dalla Chiesa battista di Roma a
partire dal 1922 (sarà soppresso dal fascismo nel 1927), seguì con grande
attenzione le vicende politiche e religiose del paese con delle puntuali
rubriche dedicate in particolare alla questione dell’insegnamento religioso
nella scuola.
28 F.
Momigliano, Gentile e l’istruzione religiosa,
«Conscientia», 2, 1923, 7. Momigliano riconosce in Gentile «un pensatore di
razza». Per questo afferma: «abbiamo fiducia nelle sue iniziative». Tuttavia si
domanda anche: «Ai concorsi di maestro elementare saranno ammessi soltanto i
candidati che dichiarino di impartire l’insegnamento religioso? Se sì,
l’insegnamento della religione dominante? E se il concorrente è protestante o
ebreo? L’essere cattolico è motivo sufficiente per l’esclusione dal concorso?».
Giuseppe Prezzolini assunse una posizione più radicale: «L’insegnamento
religioso sotto forma cattolica romana apostolica rappresenterebbe uno sguardo
indietro […] un provincialismo […]. Insegnamento religioso sì; ma non
insegnamento cattolico. Uno Stato che ammettesse l’insegnamento cattolico, non
sarebbe più Stato moderno ma Chiesa», G. Prezzolini, «Conscientia», 2, 1923, 9.
29 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 72.
30 Ibidem,
p. 73.
31 N.
Pagano, Religione e libertà nella scuola,
cit., p. 40.
32 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 77.
33 J.-P.
Viallet, La chiesa valdese di fronte allo stato
fascista, Torino 1985, p. 102. Curiosa, per molti versi, la
‘battaglia’ concernente il crocifisso, che la riforma Gentile reintrodusse
nella scuola e negli ospedali. Il sottosegretario di Stato alla Pubblica
Istruzione Dario Lupi emanò, a fine 1922, una circolare che imponeva ai
Consigli comunali di ricollocare il crocifisso nelle scuole elementari da cui
era stato rimosso. Che ciò dovesse avvenire anche nelle Valli Valdesi suonava
come vera e propria provocazione, come il moderatore Bartolomeo Léger non mancò
di ricordare nel suo memorandum al ministro. Ma i problemi sollevati da Léger
non trovarono risposta, cosa che portò il moderatore a far visita al più
stretto collaboratore di Gentile, Giuseppe Lombardo Radice, che lo accolse
cordialmente e che si dichiarò pronto a concedere l’autorizzazione a sostituire
il crocifisso con un quadro religioso. Dopo diversi colloqui si trovò
l’accordo: si sarebbe potuto appendere ai muri scolastici un ‘Gesù benedicente
i bambini’ al posto del crocifisso. In verità, la cosa non fu così semplice,
anche perché occorreva l’autorizzazione delle Belle Arti. Inoltre, quando si
scoprì che l’autore dell’oleografia prescelta a tale scopo era di nazionalità
tedesca si rischiò di mandare a monte l’accordo. Alla fine, ci si accontentò di
far cancellare la firma, cfr. J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit.,
pp.103-104.
34
L’apertura alle voci libere del cattolicesimo e del modernismo traspaiono da
ogni numero della rivista. In particolare va segnalato il contributo offerto da
Romolo Murri, esponente di punta del movimento democratico-cristiano, poi
scomunicato per essere stato eletto deputato (1909). Cfr. R. Murri, La
rivoluzione religiosa e lo Stato moderno, «Conscientia», 1, 1922,
20; Id., Chiesa e Stato in Italia, ibidem,
1, 1922, 33; Id., Una delusione dei cattolici, ibidem,
1, 1922, 43.
35 Cfr.
per esempio M. Rossi, La religione nel programma Gentile per le
scuole medie, «Bylichnis», 18, 1924, 5.
36 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 100-101.
37 A.C.
Jemolo, Chiesa e Stato in Italia,
cit., p. 240.
38 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 101.
39 J.-P.
Viallet, La chiesa valdese, cit., pp.
131 segg. Alla formulazione del testo partecipò Mario Piacentini, valdese, del
Ministero di Grazia e Giustizia. Cfr. in proposito anche G. Spini, Italia
di Mussolini e protestanti, Torino 2007.
40 Cfr.
J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., passim;
G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche,
Torino 1990.
41 G.
Peyrot, Il problema dell’insegnamento della
religione nelle pubbliche scuole elementari in relazione ai maestri ed agli
alunni evangelici, Firenze 1955, p. 12.
42 In un
articolo del 1932, «L’Osservatore romano», organo ufficiale della Santa Sede,
osò definire la Chiesa valdese come una sorta di «associazione a delinquere»,
cfr. «La Luce», 25, 1932, 47.
43 Cfr. G.
Cimbalo, Programmi scolastici della scuola
pubblica elementare e materna, insegnamento della religione e profili di
costituzionalità, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 29,
1979, 4, pp. 1081-1128.
44 L.
Borghi, G. Perrorro, L. Rodelli, La scuola del Concordato,
«Quaderni dell’associazione per la libertà religiosa in Italia (ALRI)», 4,
1971.
45 G.
Long, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito
sulla libertà religiosa nell’età della Costituente, Bologna 1990,
p. 294.
46 Cit. in
A. Mannucci, I protestanti e la religione a scuola.
Analisi della stampa protestante dalla revisione del Concordato ad oggi,
Firenze 1994, p. 214.
47 G.
Long, Le confessioni religiose, cit.; E. Butturini, La
religione a scuola, cit., pp. 139 segg.
48 P.
Calamandrei, Contro l’inclusione dei Patti Lateranensi
nella Costituzione, in Camera dei Deputati, Segretariato generale, La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente,
Roma 1970, pp. 513-520. Va ricordato che lo stesso Benedetto Croce votò contro,
considerando il Concordato «uno stridente errore logico e uno scandalo
giuridico».
49 S.
Lariccia, Individuo, gruppi, confessioni religiose
nella Repubblica italiana laica e democratica, in Bioetica
e laicità. Nuove dimensioni della persona, a cura di S. Rodotà, F.
Rimoli, Roma 2009. Lariccia osserva che le minoranze religiose restano sotto un
regime di «vergognosa mancanza di libertà» in quanto le disposizioni
legislative emanate durante il ventennio fascista restano in vigore. Una
situazione paradossale in cui, pur con una Costituzione «composta da
disposizioni capaci di assicurare un’adeguata garanzia delle libertà
democratiche relative al fattoreligioso, per circa un
decennio dopo l’entrata in vigore della Costituzione, si assiste a una
sistematica violazione delle norme poste a tutela delle libertà di religione»,ibidem, p. 226.
50
Proposte diverse furono elaborate dai governi Moro, Andreotti, Forlani, Cossiga
e Spadolini, cfr. R. Fornaca, La politica scolastica della Chiesa,
cit.
51 Cfr. Quali
valori nella scuola di Stato, a cura di N. Galli, Brescia 1989.
52 Cfr. P.
Scoppola, Un’improbabile religione nelle strettoie
del Concordato e delle riforme scolastiche, «Religione e scuola»,
12, 1985, 10; Assicurata ma facoltativa. La religione
incompiuta nella scuola italiana, a cura di L. Prenna, Roma 1997,
pp. 77 segg.
53 Cfr.
per esempio Comunità cristiane di base, Concordato: perché contro,
Roma 1976.
54 Cfr. La
religione nella scuola. Norme e programmi, Roma 1979.
55 E.
Butturini, La religione a scuola, cit.,
p. 222.
56 G.P.
Meucci, Una politica per i giovani, «Bambino incompiuto: per una nuova cultura
dell’infanzia e dell’adolescenza», 1, 1984, pp. 6-7, cit. in E. Butturini, La
religione a scuola, cit., p. 228.
57 L.
Basso, Muore la chiesa dei potenti, nasce la
chiesa dei poveri, in Id., Scritti sul cristianesimo,
Casale Monferrato 1983, pp. 268-277.
58 Cfr. G.
Peyrot, Scuola pubblica e istituzioni
ecclesiastiche nell’Intesa tra la Repubblica italiana e le Chiese rappresentate
dalla Tavola valdese, in G.M. Mei, G. Peyrot, L. Rodelli, et al., Scuola statale e istituzione
ecclesiastica: separiamole, «Quaderni dell’Associazione per la
libertà religiosa in Italia (ALRI)», 8, 1982.
59 G.
Long, Le confessioni religiose, cit., p. 184.
60 A.
Ribet, Per un’alternativa al Concordato. Testo
commentato dell’Intesa tra Stato italiano e chiese rappresentate dalla Tavola
Valdese. Testo della legge di approvazione n. 449/1984, Torino
1984, p. 91. In seguito all’intesa Falcucci-Poletti del 1985, il sinodo valdese
tenne a ribadire «la propria convinzione che la scuola nel suo progetto
culturale complessivo debba affrontare anche il fatto religioso e lo debba fare
con la necessaria autonomia da ogni dogmatismo confessionale o ideologico»,
Atti sinodali, 58/1985.
61 Questa
posizione di difesa-protesta nei confronti dell’insegnamento della religione
cattolica è ben descritta da F. Giampiccoli, La religione nella scuola oggi: necessità
dell’esenzione, Torino 1980.
62 A.
Mannucci, I protestanti e la religione a scuola.
Analisi della stampa protestante dalla revisione del Concordato ad oggi,
Firenze 1994. L’opera offre un ampio panorama del dibattito interno al mondo
valdese e protestante italiano. Le intese delle altre Chiese evangeliche,
successive, per quanto concerne l’insegnamento religioso, pur con dei piccoli
distinguo, seguirono il modello della prima intesa.
63 Per un
approfondimento rinvio a G. Long, Le confessioni religiose,
cit. In data 13 maggio 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato le bozze
d’intesa con lo Stato di altre sei comunità religiose: ortodossi, mormoni,
apostolici, buddisti, induisti, testimoni di Geova. Per la prima volta lo Stato
si appresta dunque a firmare un’intesa con comunità religiose che non sono di
tradizione giudaico-cristiana.
64 G.
Long, Le confessioni religiose, cit., p. 156.
65 R.
Fornaca, La politica scolastica della Chiesa,
cit., pp. 158-159.
66 Nel
1999 è sorta, su iniziativa di un gruppo di insegnanti evangelici,
l’Associazione 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista.
67 Oltre
al testo di Andrea Mannucci già ricordato, cfr. Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di
una ricerca, a cura di L. Palmisano, Gruppo Scuola e Laicità,
Torino 2009.
68
Istituire un credito per una disciplina ‘facoltativa’ è, secondo la
legislazione attuale, di dubbia costituzionalità. Il Consiglio di Stato (7
maggio 2010) ha annullato la delibera del T.A.R. del Lazio (n. 7076 del luglio
2009) che si era espresso contro il decreto Fioroni. Il ‘credito’ è
oggettivamente discriminatorio dal momento che la scuola statale non organizza
né finanzia, come dovrebbe per legge, le attività alternative per gli studenti
‘non avvalentisi’ dell’insegnamento della religione cattolica.
69 Cfr. F.
Pajer, L’istruzione religiosa nelle politiche
scolastiche europee, inPluralità
delle culture e pluralismo religioso, San Giustino (Pg) 2006, pp.
187-204.
70 Office for Democratic Institutions and Human Rights
(Odhir, Osce), Toledo guiding principles on teaching
about religions and beliefs in public school, Warszawa 2007.
71 Ibidem,
p. 18 (mia la traduzione dall’originale inglese).
72 Ibidem,
p. 21 (idem per la traduzione).
73
Documento di Vienna, pagina 29, § 16.1 (capitolo II).
74 II/30.
75 Flavio
Pajer ha illustrato in più pubblicazioni la situazione e continua a proporre
aggiornamenti sull’argomento attraverso il suo bollettino informativo «ERE news (European Religious Education
newsletter)».
76 Una
precisa proposta ecumenica in tal senso è stata avanzata in E. Genre, F. Pajer, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova
presenza della religione nella scuola, Torino 2005, pp. 103 segg.
77 Assicurata
ma facoltativa, a cura di L. Prenna, cit., p. 59.
78 La
cultura assente. L’istruzione religiosa nella scuola. Voci di una proposta,
a cura di F. Pajer, L. Prenna, Roma 2005, p. 10.
79 Assicurata
ma facoltativa, a cura di L. Prenna, cit., pp. 78-79.
80
«EREnews», 6, 2008, 4, p. 16.
81
Ulteriori indicazioni bibliografiche si possono trovare in L’insegnamento della religione e profili di
costituzionalità, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 4,
1979, pp. 1081-1128; Gli ebrei in Italia, a cura
di C. Vivanti, in St.It.Annali, IX, 1997; C.A.
Ciampi, La libertà delle minoranze religiose,
a cura di F.P. Casavola, G. Long, F. Margiotta Broglio, Bologna 2009; Quale laicità nella scuola pubblica
italiana? I risultati di una ricerca, a cura di L. Palmisano,
Torino 2009.
Trattamento economico
I 25.694 insegnanti di religione (anno 2008), al pari degli altri
insegnanti, sono retribuiti dallo Stato Italiano. Il costo annuo a carico dello Stato per la loro retribuzione nel 2008 è
stato pari a circa 800 milioni di euro[5].
Statuto didattico
Lo statuto didattico dei docenti di religione cattolica è controverso.
Secondo il cosiddetto "Testo Unico" in materia di istruzione (Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n.
297),
«
|
I docenti incaricati
dell'insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente
docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri
docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli
alunni che si sono avvalsi dell'insegnamento della religione cattolica »
|
(Decreto Legislativo
16 aprile 1994, art. 309.3)
|
Secondo tale disposizione sembra che il docente di IRC, al pari degli altri
insegnanti, può determinare promozione e bocciatura degli avvalentisi
(l'espressione ricorrente in ambito scolastico è che il docente "può
alzare la mano" come gli altri docenti in sede di scrutinio).
Tuttavia altre normative sono meno chiare. In particolare l'intesa fra il Ministro della pubblica
istruzione e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13
giugno 1990, convalidata dal DPR 23 giugno 1990, n. 202 recita al punto 2.7: "Nello
scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una
deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante
di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto
a verbale".
Il termine 'espresso' è ambiguo: nello scrutinio il docente IRC deve
'esprimere' un giudizio che deve essere messo a verbale, ma non è chiaro se
tale giudizio ha un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza
oppure no.
La Sentenza n. 5 del 5 gennaio 1994 del TAR Puglia (sezione Lecce) ha
stabilito che il giudizio degli insegnanti di religione cattolica iscritto a
verbale doveva "mantenere un carattere decisionale e costitutivo della
maggioranza". Dunque è valido per determinare promozione o bocciatura.
Sullo stesso tenore la Sentenza del TAR Toscana n. 1089 del 20 dicembre 1999,
ribadita dallo stesso TAR per un diverso ricorso con la Sentenza n. 5528 del 3
novembre 2005.
Di parere opposto è la Sentenza n. 780 del 16 ottobre 1996 emessa dalla prima sezione del TAR
del Piemonte, per la quale la valutazione espressa dall'insegnante di religione
non rientra nel piano del computo effettivo dei voti.
Il ministro Fioroni, con l'ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 (online) sembrava aver chiarito definitivamente la questione
concedendo all'IRC (e alle materie alternative) pari dignità rispetto alle
altre materie: "I docenti che svolgono l’insegnamento della religione
cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del
consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli
alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in
sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività
didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica,
limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime"
(8.13).
Tuttavia il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, accogliendo il
ricorso di diverse persone ed associazioni laiche e non cattoliche, con
l'ordinanza n. 2408 del 24 maggio 2007 (online) dichiarò invalidi i punti relativi all'IRC presenti
nell'ordinanza del ministro Fioroni. A questa ordinanza del TAR fece però
seguito l'ordinanza del Consiglio di Stato (di grado superiore al TAR del
Lazio) n. 2920 del 12 giugno 2007 (online) che accolse il ricorso del ministro Fioroni.
Nel 2009 però il TAR della regione Lazio, accogliendo ricorsi presentati da
associazioni laiche e non cattoliche, con la sentenza n. 7076 del 17 luglio
2009 (online), ha sentenziato (come nel 2007) che gli studenti
frequentanti l'ora di religione non possono aggiungere crediti formativi al
loro curriculum per l'esame di maturità e che agli scrutini gli insegnanti di
religione non possono presenziarvi a pieno titolo. Il ministro Gelmini ha fatto
ricorso al Consiglio di Stato (come fece Fioroni nel 2007), che è stato accolto
con la sentenza n. 2749 del 7 maggio 2010 (online): l'IRC mantiene dunque valore sia per quanto
riguarda la promozione o bocciatura degli alunni, sia per quanto riguarda la
maturazione del credito scolastico per l'esame di maturità (cf. anche l'OM del
MIUR n.42 del 6 maggio 2011, art. 8, commi 13-16; cf. anche parere
del Consiglio di Stato, Sez. v, 7 maggio 2011, 2749 "sui Crediti
Scolastici e l’ora di Religione", online).
In definitiva:
§ l'insegnante di religione si pronuncia,
come gli altri insegnanti, circa la promozione o bocciatura degli alunni
avvalentisi, e similmente per gli insegnanti di alternativa per gli alunni non
avvalentisi;
§ la valutazione della materia, espressa in
forma di giudizio (p.es. Ottimo) e non voto (p.es. 9), non entra a far parte
della media;
§ per il triennio delle superiori (3a, 4a,
5a) il professore di religione (come anche quello di attività alternativa)
esprime il proprio parere per l'eventuale attribuzione del punto di credito
formativo aggiuntivo, nel caso di un alunno la cui media lo colloca nella parte
bassa della fascia del credito, parere che va considerato assieme alle altre
eventuali attività formative svolte dal ragazzo. P.es. se la media numerica dei
voti riconosce a un alunno 4 crediti, nella fascia dei 4-5 crediti, il parere
del professore di religione può farlo salire a 5 crediti.
Programma
Pur variando come metodologie e contenuti didattici, l'IRC nei vari anni e
cicli ha come obiettivo la trattazione della religione cattolica da un punto di
vista prettamente culturale, e non propriamente religioso-catechetico. Un
docente di religione non deve avere come obiettivo l'indottrinamento (nel senso
negativo del termine) degli alunni, o anche una loro conversione religiosa, o
un'apologia della religione cattolica. Questa deve invece essere trattata come
quello che oggettivamente è, cioè un fenomeno intellettuale, storico, sociale,
artistico che ha plasmato la società e la cultura occidentale nella quale sono
inseriti gli alunni.
Nello specifico questi sono gli obiettivi specifici di apprendimento (OSA)
previsti per l'IRC nei vari cicli di studio:[6][7]
Anni
|
Conoscenze e abilità
|
||
I-III
|
§ Osservare il mondo che viene riconosciuto dai
cristiani e da tanti uomini religiosi dono di Dio Creatore.
§ Scoprire la persona di Gesù di Nazaret come viene
presentata dai Vangeli e come viene celebrata nelle feste cristiane.
§ Individuare i luoghi di incontro della comunità
cristiana e le espressioni del comandamento evangelico dell'amore
testimoniato dalla Chiesa.
|
Anni
|
Conoscenze
|
Abilità
|
|
I
|
§ Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini.
§ Gesù di Nazaret, l'Emmanuele "Dio con
noi".
§ La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a tutti i
popoli.
|
§ Scoprire nell'ambiente i segni che richiamano ai
cristiani e a tanti credenti la presenza di Dio Creatore e Padre.
§ Cogliere i segni cristiani del Natale e della
Pasqua.
§ Descrivere l'ambiente di vita di Gesù nei suoi
aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
§ Riconoscere la Chiesa come famiglia di Dio che fa
memoria di Gesù e del suo messaggio.
|
|
II-III
|
§ L'origine del mondo e dell'uomo nel cristianesimo e
nelle altre religioni.
§ Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio.
§ La preghiera, espressione di religiosità.
§ La festa della Pasqua.
§ La Chiesa, il suo credo e la sua missione.
|
§ Comprendere, attraverso i racconti biblici delle
origini, che il mondo è opera di Dio, affidato alla responsabilità dell'uomo.
§ Ricostruire le principali tappe della storia della
salvezza, anche attraverso figure significative.
§ Cogliere, attraverso alcune pagine evangeliche, come
Gesù viene incontro alle attese di perdono e di pace, di giustizia e di vita
eterna.
§ Identificare tra le espressioni delle religioni la
preghiera e, nel "Padre Nostro", la specificità della preghiera
cristiana.
§ Rilevare la continuità e la novità della Pasqua
cristiana rispetto alla Pasqua ebraica.
§ Cogliere, attraverso alcune pagine degli "Atti
degli Apostoli", la vita della Chiesa delle origini.
§ Riconoscere nella fede e nei sacramenti di
iniziazione (battesimo-confermazione-eucaristia) gli elementi che
costituiscono la comunità cristiana.
|
|
IV-V
|
§ Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e
sviluppo.
§ La Bibbia e i testi sacri delle grandi religioni.
§ Gesù, il Signore, che rivela il Regno di Dio con
parole e azioni.
§ I segni e i simboli del cristianesimo, anche
nell’arte.
§ La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti,
persone e strutture.
|
§ Leggere e interpretare i principali segni religiosi
espressi dai diversi popoli.
§ Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande di
senso dell'uomo e confrontarla con quella delle principali religioni.
§ Cogliere nella vita e negli insegnamenti di Gesù
proposte di scelte responsabili per un personale progetto di vita.
§ Riconoscere nei santi e nei martiri, di ieri e di
oggi, progetti riusciti di vita cristiana.
§ Evidenziare l'apporto che, con la diffusione del
Vangelo, la Chiesa ha dato alla società e alla vita di ogni persona.
§ Identificare nei segni espressi dalla Chiesa
l’azione dello Spirito di Dio, che la costruisce una e inviata a tutta
l'umanità.
§ Individuare significative espressioni d'arte
cristiana, per rilevare come la fede è stata interpretata dagli artisti nel
corso dei secoli.
§ Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c'è una
varietà di doni, che si manifesta in diverse vocazioni e ministeri.
§ Riconoscere in alcuni testi biblici la figura di
Maria, presente nella vita del Figlio Gesù e in quella della Chiesa.
|
Anni
|
Conoscenze
|
Abilità
|
|
I-II
|
§ Ricerca umana e rivelazione di Dio nella storia: il
Cristianesimo a confronto con l’Ebraismo e le altre religioni
§ Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e
parola di Dio
§ L’identità storica di Gesù e il riconoscimento di
lui come Figlio di Dio fatto uomo, Salvatore del mondo
§ La preghiera al Padre nella vita di Gesù e
nell’esperienza dei suoi discepoli
§ La persona e la vita di Gesù nell’arte e nella
cultura in Italia e in Europa, nell’epoca medievale e moderna
§ L’opera di Gesù, la sua morte e risurrezione e la
missione della Chiesa nel mondo: l’annuncio della Parola, la liturgia e la
testimonianza della carità
§ I sacramenti, incontro con Cristo nella Chiesa,
fonte di vita nuova
§ La Chiesa, generata dallo Spirito Santo, realtà
universale e locale, comunità di fratelli, edificata da carismi e ministeri
|
§ Evidenziare gli elementi specifici della dottrina,
del culto e dell’etica delle altre religioni, in particolare dell’Ebraismo e
dell’Islam
§ Ricostruire le tappe della storia di Israele e della
prima comunità cristiana e la composizione della Bibbia
§ Individuare il messaggio centrale di alcuni testi
biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi
diversi di lettura
§ Identificare i tratti fondamentali della figura di
Gesù nei vangeli sinottici, confrontandoli con i dati della ricerca storica
§ Riconoscere le caratteristiche della salvezza
attuata da Gesù in rapporto ai bisogni e alle attese dell’uomo, con
riferimento particolare alle lettere di Paolo
§ Documentare come le parole e le opere di Gesù
abbiano ispirato scelte di vita fraterna, di carità e di riconciliazione
nella storia dell’Europa e del mondo
§ Individuare lo specifico della preghiera cristiana e
le sue diverse forme
§ Riconoscere vari modi di interpretare la vita di
Gesù, di Maria e dei santi nella letteratura e nell’arte
§ Cogliere gli aspetti costitutivi e i significati
della celebrazione dei sacramenti
§ Individuare caratteristiche e responsabilità di
ministeri, stati di vita e istituzioni ecclesiali
§ Individuare gli elementi e i significati dello
spazio sacro nel medioevo e nell’epoca moderna
§ Riconoscere i principali fattori del cammino
ecumenico e l’impegno delle Chiese e comunità cristiane per la pace, la
giustizia e la salvaguardia del creato
|
|
III
|
§ La fede, alleanza tra Dio e l’uomo, vocazione e
progetto di vita
§ Fede e scienza, letture distinte ma non conflittuali
dell’uomo e del mondo
§ Il cristianesimo e il pluralismo religioso
§ Gesù, via, verità e vita per l’umanità
§ Il decalogo, il comandamento nuovo di Gesù e le
beatitudini nella vita dei cristiani
§ Vita e morte nella visione di fede cristiana e nelle
altre religioni
|
§ Riconoscere le dimensioni fondamentali
dell’esperienza di fede di alcuni personaggi biblici, mettendole anche a
confronto con altre figure religiose
§ Confrontare spiegazioni religiose e scientifiche del
mondo e della vita
§ Rintracciare nei documenti della Chiesa gli
atteggiamenti che favoriscono l’incontro, il confronto e la convivenza tra
persone di diversa cultura e religione
§ Individuare nelle testimonianze di vita evangelica,
anche attuali, scelte di libertà per un proprio progetto di vita
§ Descrivere l’insegnamento cristiano sui rapporti
interpersonali, l’affettività e la sessualità
§ Motivare le risposte del cristianesimo ai problemi
della società di oggi
§ Confrontare criticamente comportamenti e aspetti
della cultura attuale con la proposta cristiana
§ Individuare l’originalità della speranza cristiana
rispetto alla proposta di altre visioni religiose
|
Anni
|
Conoscenze
|
Abilità
|
|
I-II
|
Lo studente:
§ riconosce gli interrogativi universali dell'uomo:
origine e futuro del mondo e dell'uomo, bene e male, senso della vita e della
morte, speranze e paure dell'umanità, e le risposte che ne dà il
cristianesimo, anche a confronto con altre religioni;
§ si rende conto, alla luce della rivelazione
cristiana, del valore delle relazioni interpersonali e dell'affettività:
autenticità, onestà, amicizia, fraternità, accoglienza, amore, perdono,
aiuto, nel contesto delle istanze della società contemporanea;
§ individua la radice ebraica del cristianesimo e
coglie la specificità della proposta cristiano-cattolica, nella singolarità
della rivelazione di Dio Uno e Trino, distinguendola da quella di altre
religioni e sistemi di significato;
§ accosta i testi e le categorie più rilevanti
dell'Antico e del Nuovo Testamento: creazione, peccato, promessa, esodo,
alleanza, popolo di Dio, messia, regno di Dio, amore, mistero pasquale; ne
scopre le peculiarità dal punto di vista storico, letterario e religioso;
§ approfondisce la conoscenza della persona e del
messaggio di salvezza di Gesù Cristo, il suo stile di vita, la sua relazione
con Dio e con le persone, l'opzione preferenziale per i piccoli e i poveri,
così come documentato nei V angeli e in altre fonti storiche;
§ ripercorre gli eventi principali della vita della
Chiesa nel primo millennio e coglie l'importanza del cristianesimo per la
nascita e lo sviluppo della cultura europea;
§ riconosce il valore etico della vita umana come la
dignità della persona, la libertà di coscienza, la responsabilità verso se
stessi, gli altri e il mondo, aprendosi alla ricerca della verità e di
un'autentica giustizia sociale e all'impegno per il bene comune e la
promozione della pace.
|
Lo
studente:
§ riflette sulle proprie esperienze personali e di
relazione con gli altri: sentimenti, dubbi, speranze, relazioni, solitudine,
incontro, condivisione, ponendo domande di senso nel confronto con le
risposte offerte dalla tradizione cristiana;
§ riconosce il valore del linguaggio religioso, in
particolare quello cristiano-cattolico, nell'interpretazione della realtà e
lo usa nella spiegazione dei contenuti specifici del cristianesimo;
§ dialoga con posizioni religiose e culturali diverse
dalla propria in un clima di rispetto, confronto e arricchimento reciproco;
§ individua criteri per accostare correttamente la
Bibbia, distinguendo la componente storica, letteraria e teologica dei
principali testi, riferendosi eventualmente anche alle lingue classiche;
§ riconosce l'origine e la natura della Chiesa e le
forme del suo agire nel mondo quali l'annuncio, i sacramenti, la carità;
§ legge, nelle forme di espressione artistica e della tradizione
popolare, i segni del cristianesimo distinguendoli da quelli derivanti da
altre identità religiose;
§ coglie la valenza delle scelte morali, valutandole
alla luce della proposta cristiana.
|
|
III-IV
|
Lo studente:
§ approfondisce, in una riflessione sistematica, gli
interrogativi di senso più rilevanti: finitezza, trascendenza, egoismo,
amore, sofferenza, consolazione, morte, vita;
§ studia la questione su Dio e il rapporto
fede-ragione in riferimento alla storia del pensiero filosofico e al
progresso scientifico-tecnologico;
§ rileva, nel cristianesimo, la centralità del mistero
pasquale e la corrispondenza del Gesù dei V angeli con la testimonianza delle
prime comunità cristiane codificata nella genesi redazionale del Nuovo
Testamento;
§ conosce il rapporto tra la storia umana e la storia
della salvezza, ricavandone il modo cristiano di comprendere l'esistenza
dell'uomo nel tempo;
§ arricchisce il proprio lessico religioso, conoscendo
origine, significato e attualità di alcuni grandi temi biblici: salvezza, conversione,
redenzione, comunione, grazia, vita eterna, riconoscendo il senso proprio che
tali categorie ricevono dal messaggio e dall'opera di Gesù Cristo;
§ conosce lo sviluppo storico della Chiesa nell'età
medievale e moderna, cogliendo sia il contributo allo sviluppo della cultura,
dei valori civili e della fraternità, sia i motivi storici che determinarono
divisioni, nonché l'impegno a ricomporre l'unità;
§ conosce, in un contesto di pluralismo culturale
complesso, gli orientamenti della Chiesa sul rapporto tra coscienza, libertà
e verità con particolare riferimento a bioetica, lavoro, giustizia sociale,
questione ecologica e sviluppo sostenibile.
|
Lo
studente:
§ confronta orientamenti e risposte cnst1ane alle più
profonde questioni della condizione umana, nel quadro di differenti patrimoni
culturali e religiosi presenti in Italia, in Europa e nel mondo;
§ collega, alla luce del cristianesimo, la storia
umana e la storia della salvezza, cogliendo il senso dell'azione di Dio nella
storia dell'uomo;
§ legge pagine scelte dell'Antico e del Nuovo
Testamento applicando i corretti criteri di interpretazione;
§ descrive l'incontro del messaggio cristiano
universale con le culture particolari e gli effetti che esso ha prodotto nei
vari contesti sociali;
§ riconosce in opere artistiche, letterarie e sociali
i riferimenti biblici e religiosi che ne sono all'origine e sa decodificarne
il linguaggio simbolico;
§ rintraccia, nella testimonianza cristiana di figure
significative di tutti i tempi, il rapporto tra gli elementi spirituali,
istituzionali e carismatici della Chiesa;
§ opera criticamente scelte etico-religiose in
riferimento ai valori proposti dal cristianesimo.
|
|
V
|
Lo studente:
§ riconosce il ruolo della religione nella società e
ne comprende la natura in prospettiva di un dialogo costruttivo fondato sul
principio della libertà religiosa;
§ conosce l'identità della religione cattolica in
riferimento ai suoi documenti fondanti, all'evento centrale della nascita,
morte e risurrezione di Gesù Cristo e alla prassi di vita che essa propone;
§ studia il rapporto della Chiesa con il mondo
contemporaneo, con riferimento ai totalitarismi del Novecento e alloro
crollo, ai nuovi scenari religiosi, alla globalizzazione e migrazione dei
popoli, alle nuove forme di comunicazione;
§ conosce le principali novità del Concilio ecumenico
Vaticano II, la concezione cristiano-cattolica del matrimonio e della
famiglia, le linee di fondo della dottrina sociale della Chiesa.
|
Lo
studente:
§ motiva le proprie scelte di vita, confrontandole con
la visione cristiana, e dialoga in modo aperto, libero e costruttivo;
§ si confronta con gli aspetti più significativi delle
grandi verità della fede cristianocattolica, tenendo conto del rinnovamento
promosso dal Concilio ecumenico Vaticano II, e ne verifica gli effetti nei
vari ambiti della società e della cultura;
§ individua, sul piano etico-religioso, le
potenzialità e i rischi legati allo sviluppo economico, sociale e ambientale,
alla globalizzazione e alla multiculturalità, alle nuove tecnologie e
modalità di accesso al sapere;
§ distingue la concezione cristiano-cattolica del
matrimonio e della famiglia: istituzione, sacramento, indissolubilità,
fedeltà, fecondità, relazioni familiari ed educative, soggettività sociale.
|
La recente (giugno 2012) intesa introduce una distinzione (troppo?) precisa
quanto agli OSA generali delle superiori sopra esposti e quelli specifici degli
istituti tecnici, degli istituti professionali e della istruzione e formazione
professionale.
Questo documento espone la problematica della trasgressione del principio di laicità, minato dalle continue ingerenze della Chiesa cattolica nell'economia, nella politica e nella società italiana. E' legittimo che lo Stato italiano nomini e paghi insegnanti di religione cattolica scelti dalla Chiesa ? E' giusto che si dia pochissimo spazio allo studio delle altre religioni ? e infine perchè in una democrazia come la nostra che dovrebbe sostenere il pluralismo, la libertà di culto e di coscienza, la libertà di critica e di pensiero, si è costretti ad assistere a concessioni di concordati ad hoc discriminanti verso le altre confessioni religiose, prebende ed esenzioni fiscali, agevolazioni tributarie quali l'8 x mille e favoritismi in ambito educativo ( le scuole paritarie ottengono finanziamenti statali pur essendo private )? Vi preghiamo di leggere il documento sopra esposto per realizzare il paradosso democratico che ci affligge.
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