QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE
Disarmante: se mi si chiedesse di attribuire un epiteto a quest'opera, sicuramente direi che è un'opera che ti sconvolge, e non sarebbe una novità rimanere sgomenti dopo la lettura di uno scritto di Pirandello. Non è un caso che il termine "Pirandelliano" sia entrato nel vocabolario italiano con l'accezione di "contraddittorio" e "grottesco", infatti questi sono i 2 topoi, elementi ricorrenti, che soggiacciono alla trama e di cui si serve Pirandello per demistificare la realtà che ci circonda, in particolare le ipocrisie e l'aggregato di forme che caratterizzano noi stessi e le relazioni sociali.
Il "silenzio di cosa", questa è la via che sceglie Gubbio: non riuscendo a barcamenarsi nella fitta rete di forme che lo condizionano, preferisce rimanere impassibile, non provare più alcuna forma di sentimento che possa scardinare il sistema di forme sul quale la società si fonda, infatti, dopo una serie di peripezie, fraintendimenti, incomprensioni e digressioni filosofiche sulla vita, Serafino arriva alla conclusione che è meglio votare la propria esistenza al silenzio, perché nulle sono le possibilità di comunicare, perciò ognuno di noi è cristallizzato entro forme che mutano continuamente a seconda dello stato d'animo di chi le costruisce, rendendo di fatto inattuabile una reciproca comprensione (in virtù anche dell'inaspettato dramma finale...).
Secondo Pirandello, noi ci costruiamo le nostre forme, moduliamo la materia, ciò che percepiamo e assimiliamo, secondo le nostre emozioni che attribuiscono un significato soggettivo alla realtà, proprio per questo motivo Serafino critica la tecnologia (la cinepresa), perché fissa la realtà e ci illude di poterla dominare, scattando una foto a noi stessi ci illudiamo di realizzare chi siamo, quando invece non ci accorgiamo che, nel momento in cui abbiamo dinanzi a noi la foto, è trascorso del tempo e noi siamo cambiati, perché la vita è un continuo divenire e quella foto ha solo immobilizzato un attimo effimero della nostra esistenza. Serafino prende atto della realtà: o continuiamo a illuderci di essere delle persone fisse con un'identità unitaria, pur essendo consapevoli di non esserlo, oppure ci "guardiamo vivere", preferendo condurre un'esistenza di alienati che tentano sempre di conoscersi, quindi di ingabbiarsi in forme rigide. "Conoscersi è morire", afferma Pirandello ne "La Carriola", nel momento in cui noi ci guadiamo indietro e tentiamo di capire chi siamo riferendoci al passato, abbiamo un'immagine di noi stessi che non esiste, che è morta, perché quella forma è ritratto di esperienze già avvenute.
I personaggi sono molto vicini alla nostra sensibilità, perché continuamente macerati da un contrasto interiore fra forma e vita, fra l'immagine che gli altri hanno di noi e che non vogliamo infrangere e le nostre esigenze immediate e in continuo mutamento e contraddizione con la forma che gli altri ci affibbiano. Serafino è innamorato di Luisetta, ma non riesce a modificare l'immagine che lei si rappresenta di lui, ovvero di un semplice "operatore", povero e sottoposto a lei nella gerarchia sociale. La Nestoroff è costantemente preoccupata di non incrinare l'immagine che i suoi ammiratori hanno in mente di lei, così da evitare di mettere in mostra le sue debolezze e sofferenze e poter continuare a sembrare una donna fredda e impossibile.
Gubbio si sente sempre più una cosa. Il suo graduale processo di reificazione, viene chiamato "Si gira" come se non esistesse, è marcato dalla ripetitività del suo lavoro alienante, sempre uguale e così monotono che ci sembra così vicino alle odierne professioni impiegatizie o alle "catene di montaggio", in cui gli operai devono riprodurre sempre gli stessi movimenti, ogni giorno e senza possibilità di realizzarsi come esseri umani dotati di creatività e libertà.
Ugo Giarratano
Ugo Giarratano
Nessun commento:
Posta un commento