La mafia in psicoterapia: di Girolamo Lo Verso
5/08/13 San
Vito Lo Capo: ottavo incontro regolare
del celebre appuntamento culturale Sanvitese “Libri, autori e buganvillee”
condotto da Giacomo Pilati, che quest’anno si tiene dal 5 Luglio al 30 Agosto e
che ha già annoverato la presenza di celebri personaggi e autori quali Marcello
Sorgi, il pm Raffaele Cantone autore di “football clan” e Catena Fiorello.
Ospite della serata è il professore ordinario di psicologia clinica presso
l’Università di Palermo Girolamo Lo Verso, il quale presenta “La mafia in
psicoterapia”, opera che continua la via del suo gruppo analista intrapresa dopo
il caso Vitale. Tema centrale del libro sono le testimonianze e i risultati
ottenuti in anni di ricerca; basato su casi clinici completi, il professore
delinea i tratti psicologici che determinano il cosiddetto “mafioso”. La
premessa da cui partire è quindi molto importante poiché è necessario attuare,
alla luce del lavoro di analisi, una distinzione tra il mafioso e il colluso con
la mafia. La ricerca dei caratteri del mafioso doc assume quindi dei margini
ben delineati: il mafioso puro nasce da una famiglia mafiosa, vive in un
ambiente mafioso, viene selezionato e addestrato fin da bambino ad assumere il
ruolo che gli spetta per diritto di sangue. In questo contesto si comprende
come il mafioso sia costruito fin dall’infanzia, e le conseguenze di questo
trattamento si riscontrano immancabilmente nella personalità dell’individuo. Il
mafioso è educato al rispetto di un'unica regola, un unico valore, il potere.
La vita del mafioso è quindi incentrata sulla ricerca di sempre maggior potere
da esercitare sugli altri. Il mafioso viene perciò costruito, diventa ciò per
cui è stato destinato ad essere per diritto di sangue. Le caratteristiche
prettamente umane sono assenti o oscurate dalla ricerca del potere; la sua vita
si basa solo su questo principio che lo incapacita dal provare emozioni umane
quali rimorso, compassione, amore ecc. La cosa che colpisce di più è anche la
totale assenza della ricerca del piacere. Soldi, belle macchine, belle donne,
ville, niente di tutto ciò interessa il mafioso.
Mettiamoci in testa che il
mafioso non è quello dei ritratti hollywoodiani che ci propina il cinema
oltreoceano, dice il professor Lo Verso; la verità è che il mafioso non prova e
non ricerca il piacere, è incapacitato dal provare amore e non è interessato
alle belle donne, le quali sono per lui solo un altro mezzo per ostentare
potere. Il mafioso costruito in fasce diventa perciò una non persona, un essere
umano privato della sua umanità, un essere che non ha mai posseduto un suo io.
Non c’è da stupirsi, alla luce dei risultati ottenuti da queste ricerche
cliniche, se alla cattura di un noto boss latitante, come fu per Provenzano, si
scopre essere vissuto nelle condizioni peggiori, senza comfort, magari in un
buco di pietra in aperta campagna, pur possedendo patrimoni per centinaia di
milioni di euro. Caso diverso per coloro che sono intorno alla mafia, sia
indirettamente come può esserlo ognuno di noi, sia direttamente come i collusi.
La sola idea della mafia e la paura che essa comporta condiziona chiunque nella
vita quotidiana al punto che ancora oggi molte persone in molti quartieri non
riescono neanche a parlarne. Un esempio del potere psicologico che possiede la
mafia viene dalle testimonianze dei commercianti: compiendo un’ analisi sui
soggetti presenti ad un incontro di sostegno per i commercianti di “Addio
Pizzo”, si è riscontrato che tutti i presenti avevano paura di ritorsioni e di
subire episodi di violenza da parte della mafia. La particolarità della ricerca
sta nel fatto che il risultato unanime è stato riscontrato sia nella metà che
non ha mai pagato il pizzo o non ha mai ricevuto visite e minacce da parte
della mafia, sia da chi questi eventi li ha vissuti in prima persona. Il
commerciante vive quindi una condizione di eterna angoscia, di paura verso se
stessi e verso i propri cari, bloccato in una morsa di veleno che lentamente
distrugge l’anima. Solo attraverso il gruppo e il confronto si può superare
indenni psicologicamente una tale pressione, ribadisce il professore Lo Verso.
Altro esempio eclatante è un caso tipico che accade in ambienti soggetti al
potere mafioso. Un commerciante che all’apertura della sua attività lavorativa
trova la serratura bloccata dall’attack, subisce una pressione psicologica nei
giorni successivi che lo porteranno ad andare lui stesso di fronte ai
malavitosi per pagare il pizzo e mettersi per così dire “in regola”, pur non
avendo mai subito realmente richieste o minacce da parte del organizzazione
criminale. La mafia non possiede dunque solo una struttura, una cupola, ma
possiede una vera e propria identità, una cultura aggrappata alle tradizioni
nella quale le future generazioni sono solo un guscio da riempire per assumere al meglio il ruolo insignitogli dalla
comunità. Non vi è da combattere solo un organizzazione, ma vi è anche un modo
di pensare che deve essere assolutamente estirpato, impedendo che le nuove generazioni
vengano intrappolate nella rete del “malo-affare”.
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