sabato 9 agosto 2014

La nascita della filosofia secondo Giorgio Colli

Filosofia e sapienza



Giorgio Colli è stato un filosofo e filologo del novecento, noto per essersi occupato con acribia della traduzione italiana delle opere di Nietzche, sistemandole in un’edizione critica che emendava le raccolte degli scritti del filosofo da tutte le interpolazioni faziose e le manipolazioni massicce dovute all'infausta opera della sorella, amica di Hitler e responsabile della cosiddetta "nazificazione" del pensiero di suo fratello. Colli apprezzò la prospettiva e il metodo di analisi critica adottato da Nietzsche che consistè essenzialmente in una globale critica della tradizione del pensiero filosofico occidentale alla luce del modo di sentire, di vedere e di pensare tipicamente greco, pienamente identificabile nella tragedia del V secolo. Colli si assesta in seno al filone filosofico-interpretativo (Schopenauer-Nietzsche-Colli stesso- oggi: Angelo Tonelli) che mette su un' impostazione singolare del problema della grecità e delle sue forme espressive e artistiche. Congiuntamente,  è perorata una visione anticonvenzionale della nascita della filosofia che la riconduce allo sciamanesimo orientale e iperboreo poi traspostosi nel culto eleusino-misterico di Dioniso. In generale, questo filone di pensiero rigetta l'approccio razionalistico egemone allo studio della filosofia greca antica, ritenendo piuttosto che essa debba essere esaminata secondo una prospettiva più vicina a quello che era il substrato culturale dei greci d'età arcaica: il retroterra cultuale dei misteri eleusini che erano delle festività religiose di ispirazione orientale, di massima importanza per la vita comunitaria degli ateniesi.

Uno dei problemi attenzionati da Colli è stato quello della nascita della filosofia, alla cui risposta ha dedicato un libretto di poche pagine, ma densissimo, in cui collega la filosofia stessa, prodotto precipuo dell’esperienza storico-ideale di Platone, alla longeva e remota tradizione della “sapienza greca”. L’impostazione del problema da districare verte proprio su quest’ultima, pertanto il quesito generale che viene sollevato si chiede quando e come la sapienza greca sia nata, per poi rilevarne i fattori di continuità che si sono protratti nel tempo, sino alla nascita della filosofia con Platone. Giorgio Colli, da ammiratore e studioso assiduo di Nietzsche, trae spunto per la sua disamina proprio da una sua opera, “la nascita della tragedia”, da cui estrapola il metodo di analisi scelto dall’autore, consistente in un’approssimazione critica alla Grecità, e ad una sua particolare espressione culturale (la tragedia nel caso di Nietzsche, la sapienza nel caso di Colli), mediante la selezione di alcune figure simboliche cruciali che ne serbano il significato e il senso autentici. Si potrebbe intendere come uno studio simbologico che nei simboli, per l’appunto, vede le chiavi di lettura più adatte per comprendere lo spirito greco. Dioniso e Apollo sono le due figure scelte da Nietzsche e da Colli, ma quest’ultimo dà loro delle significazioni estremamente diverse da quelle nietzschiane, alla luce anzitutto del diverso oggetto di ricerca: la sapienza.

I Greci: sapienza e follia visti nel segno di Apollo.


Colli ritiene che non ci si debba domandare quali siano le origini della filosofia, perché senza dubbio essa sorge nella sua essenzialità con Platone, concepita come un’attività educativa che si dispiega nella forma letteraria del dialogo. Piuttosto è più utile chiedersi quali siano le origini della sapienza, perché è a questa che si ricollega espressamente la “filosofia” di Platone, sia semanticamente (“amore della sapienza”) sia ideologicamente. L’obiettivo di Platone è recuperare la sapienza antica, o quanto meno di avvicinarvisi.

Quindi, quali sono le radici della sapienza greca ? Secondo Colli sono ravvisabili nel valore accordato dai Greci alla figura di Apollo. Tralasciando tutte le critiche e le rettificazioni alla significazione nietschiana di Apollo, Colli rileva come questo sia l’attestazione simbolica del luogo naturale e del valore supremo dati dai Greci alla sapienza (“sophia”). L’ambiente precipuo in cui germina la sapienza greca è quello religioso, oracolare, misterico, mistico. Apollo è il dio a cui sono riservati svariati santuari disseminati per il suolo greco; il suo culto è importantissimo perché esprime l’amore tutto greco per la conoscenza, vista come dono divino comunicato agli uomini per tramite dell’oracolo. Ma che tipo di conoscenza ? In che modo è comunicato questo messaggio e qual è la fisionomia di questo dio, Apollo ? La conoscenza trasmessa è un sapere divino, tradotto per gli uomini sotto forma di divinazione, affinché sappiano il proprio futuro o abbiano una guida, un punto di riferimento per la propria condotta di comuni mortali. Questo messaggio, però, è criptico e ambiguo, estremamente allusivo e per nulla chiaro. Il dio provoca l’uomo, lo spinge a cimentarsi in una sfida, quella di decifrare il messaggio da lui inviatogli; ed è per questo che risulta crudele e malevolo per questa sua mancanza di chiarezza. Apollo è raffigurato talvolta con la lira, che simboleggia la sua azione propizia, talora con l’arco, segno della sua azione ostile verso l’uomo (come succede nel primo libro dell’Iliade, quando Apollo semina la morte nell’accampamento greco, scagliando le sue frecce). L’arco e la lira simboleggiano la parola, attraverso cui la sapienza divina discende nel mondo degli uomini, ora devastando impietosamente, ora intervenendo in aiuto.

Dunque, ricapitolando, la sapienza greca affonda le radici nell’ambiente religioso. La sua espressione avviene nel santuario, per mezzo dell’oracolo; il suo esserci è dovuto al contatto mistico avuto dall’oracolo con il dio, fonte naturale della sapienza stessa, che, però, venendo comunicata all’uomo, si risolve in un messaggio estremamente criptico ed enigmatico.  Ma andiamo alla domanda nodale: in che modo è comunicato questo messaggio ? Per rispondere a questo quesito, Colli mette in discussione le valenze antitetiche attribuite da Nietzche ad Apollo e a Dioniso. Questi, infatti, sostiene essenzialmente che lo spirito greco sia comprensibile solo se si considerano le sue due istanze emergenti: quella apollinea e quella dionisiaca. Alla prima è ascritta la tendenza a costruire sistemi teorici definitivi, per via del suo congenito senso della misura e della sua pura razionalità spassionata. Alla seconda è ricondotta la tendenza a far valere l’immediatezza e la caoticità della vita, contro ogni pretesa della forma di ingabbiarla conclusivamente. Colli spiega che Apollo in realtà condivide con Dioniso un’intrinseca follia (“mania”) , sulla scia di “Apollo Iperboreo”, fatto risalire dai Greci a delle popolazioni dell’estremo settentrione in cui si praticavano riti sciamanici improntati al misticismo. In più, rileva come Platone nel Fedro, paradossalmente, elogi la follia come stato d’animo necessario a che si possa attingere la sapienza, intesa come divinazione.

In conclusione, la sapienza greca sorge nell’ambiente religioso-oracolare (culto di Apollo) e la sua matrice di fondo è la follia. L’esempio più chiaro ed evidente di questa commistione tra conoscenza e religione, tra sapienza e follia, è il significato del concetto di “theoria” che originariamente indica la partecipazione ad una festa religiosa.

Arianna, Orfeo e il dio-animale (Dioniso)



Teseo e il Minotauro
Se Apollo simboleggia la sapienza stessa, carpita dagli uomini per mezzo dell’oracolo, Dioniso può essere visto come il “presupposto della conoscenza”, perché, in quanto divinità eleusina, è oggetto di un culto che nella pratica culmina in una fusione mistica col dio, nell’estasi. Questa amalgama mistica al dio è il simbolo di ciò che richiede la conoscenza, ovvero partecipazione del soggetto conoscente all’oggetto conosciuto, in questo caso Dioniso, sicuramente preminente rispetto al soggetto stesso (l’uomo). E’ tipico della sapienza greca, infatti, l’aspetto teoretico, la “theoria”, come detto poc’anzi, nel suo significato di “partecipazione”.

Ma la peculiarità di Dioniso risiede piuttosto nell’immediatezza della vita che trasuda, nell’animalità che lo qualifica intrinsecamente. Colli rintraccia le origini della sapienza nella religione antica, di cui eleva a simbolo-chiave il culto di Apollo risalente all’incirca ai primordi del I millennio; l’altro percorso di indagine è il mito, molto più antico, le cui radici temporali risalgono alla seconda metà circa del II millennio a.C.                                                                                           Il mito ci rimanda ad un’origine ancora più remota della sapienza, fino ad  ora ricollegata al culto di Apollo e alla follia. Se Apollo ha origini dall’Apollo Iperboreo che i Greci riconducevano alle popolazioni dell’estremo settentrione,  Dioniso sembra allignare in principio nella mitologia cretese (mondo minoico-miceneo), per poi subire delle modificazioni che ne attenuano l’originaria ostilità all’uomo.

Il mito di Arianna è il documento storico a cui appellarsi per decifrare i connotati più primordiali e remoti di Dioniso che lo ritraggono come un dio-animale (il minotauro rinchiuso nel labirinto), il cui destino è di risultare sempre vincitore.

Occorre soffermarsi sul “labirinto”, perché è il punto di dissidio tra l’uomo e il dio, così come lo è l’ “enigma” nel caso di Apollo. Il labirinto simboleggia l’occasione offerta dal dio all’uomo a che si illuda di poterlo sconfiggere attraverso i propri espedienti razionali. Come precisa Colli, Platone usa nell’ Eutidemo la locuzione “gettati dentro un labirinto” per significare un alto grado di complessità dialettica e razionale. Il labirinto stesso, per l’appunto, allude alla ragione, al “logos” che tenta con i suoi mezzi di intrappolare il dio-animale, Dioniso. Il conflitto tra il dio e l’uomo è qui pienamente in atto e alla fine il tentativo del primo di ricondurre la razionalità del secondo alla sfera dell’animalità prevale, grazie alla figura-chiave di Arianna.

E’ col mito di Orfeo che avviene quella trasfigurazione simbolica che dipinge Dioniso come un dio meno ostile e bestiale, più vicino all’uomo. La sua figura, sempre però crudele, si articola in forme espressive che sono solo umane, diversamente da quanto accade nel mito di Arianna. Queste sono l’emozione, la poesia, la musica, tutte capacità e qualità che ci suggeriscono un’avvenuta edulcorazione dell’immagine di Dioniso. Ciononostante, il dio si manifesta sempre nell’atto di punire con ferocia l’uomo, come Orfeo che tradisce il culto di Dioniso per accordare il suo favore a quello di Apollo e per questo viene dato in pasto alle Menadi.

In conclusione, il processo di trasfigurazione simbolica di Dioniso è la manifestazione dell’altro aspetto della sapienza greca: l’immediatezza e la spontaneità animalesca della vita. Queste due componenti si congiungono con la parola e la conoscenza, coessenziali al culto di Apollo; tutte e quattro sono collocate sullo sfondo della “mania” (follia).


Dio e l’uomo: la “frattura metafisica” e il cammino verso la filosofia.



Giorgio Colli inizia a porre le premesse per il discorso importante sul passaggio dalla sapienza alle nuove forme di espressione razionale, astratte e dialettiche.

Riepilogando, la sapienza greca si dispiega sul terreno fecondo del rapporto religioso (oracolare, mistico, misterico ecc.) tra l’uomo e il dio, sia Apollo o Dioniso. Con Apollo e Dioniso i Greci intrattengono un rapporto travagliato, con l’uno cercano di carpire la conoscenza, espressa attraverso la parola sotto forma di divinazione (enigma); con l’altro cercano di tenere sotto controllo tutto ciò che è immediato e bestiale (“istintuale”), attraverso la ragione, il “logos” (labirinto). In entrambi i casi si tratta di sfide tra l’uomo e il dio. La conoscenza è una sfida offerta da Apollo all’uomo, questo aspetto agonico si coglie nella natura ambivalente e oscura del responso oracolare e l’enigma è il punto critico di contrasto tra l’uomo greco, che mira alla conoscenza, e il dio che è sostanzialmente ostile all’uomo.

A questo punto Colli spiega il concetto di “frattura metafisica”, ossia quella spaccatura netta e recisa che sussiste tra la sfera del divino e la sfera dell’umano. L’enigma è il punto di interconnessione conflittuale e critica tra l’uomo e il dio, Apollo. Colli spiega come l’enigma sia il fulcro attorno a cui ruota il processo di trasfigurazione della sapienza greca in dialettica, retorica e infine filosofia. A tal proposito occorre impostare il discorso sotto due punti di vista, riprendendo il problema generale e chiarendo che cos’è l’enigma. Problema generale: in primis Colli si chiede quali siano le origini della sapienza greca, per capire il significato storico-ideale della filosofia sorta con Platone. Questa si pone come un tentativo di riavvicinarsi alla sapienza degli antichi, in quanto “amore della sapienza”.  Una volta spiegato che cos’è la sapienza attraverso i due culti di Apollo e di Dioniso, si giunge all’enigma come momento critico di passaggio.

 Ma in che senso l’enigma è il punto di raccordo tra la sapienza e le nuove forme astratte di pensiero (dialettica anzitutto) ? 

Chiediamoci prima che cos’è l’enigma secondo Colli, tracciando la sua evoluzione storico-semantica alla luce di quella che è la prospettiva trainante: il rapporto tra sfera divina e sfera umana, con progressiva autonomizzazione dello spazio umano . Per questo, ci si può avvalere direttamente di un passo suntivo dell’autore.

“Si è detto che con l’entrare dell’enigma nella sfera umana, con l’attenuarsi della sua provenienza dal dio, va affermandosi sempre più una sua formulazione contraddittoria. C’è un nesso fra i due fenomeni ? prima di esaminare questo problema, occorre vedere come vada configurandosi questo umanizzarsi dell’enigma, il che coincide con la nascita dei sapienti. Prima il dio ispira un responso oracolare, e il “profeta”, per dirla con Platone, è un semplice interprete della parola divina, appartiene ancora totalmente alla sfera religiosa. Poi il dio, attraverso la Sfinge impone un enigma mortale, e l’uomo singolo deve scioglierlo, pena la vita. Infine due divinatori lottano tra loro per un enigma , Calcante e Mopso: non c’è più il dio, rimane lo sfondo religioso, ma interviene un elemento nuovo, l’agonismo, che è qui una lotta per la vita e per la morte. Un passo ancora, cade lo sfondo religioso, e viene in primo piano l’agonismo, la lotta di due uomini per la conoscenza: non sono più divinatori, sono sapienti, o meglio combattono per conquistare il titolo di sapiente.”


Da questo Colli inferisce che l’intero processo di umanizzazione dell’enigma, che perde il suo valore religioso-simbolico di sfida lanciata all’uomo dal dio, si manifesta in una sempre più frequente formulazione contraddittoria del medesimo, a tal punto che alla fine Aristotele ne rintraccia le proprietà formali nella contraddizione stessa che, però, significa qualcosa di reale. E con questo si risponde alla domanda sul modo in cui debba interpretarsi l’elevazione dell’enigma a punto di raccordo tra la sapienza e la dialettica. L’enigma viene umanizzato e mondanizzato, svuotato del suo significato primordiale (religioso-oracolare) e rielaborato in chiave nuova, mantenendo la sua struttura formale contraddittoria e dilemmatica e la sua latente natura agonica, che alle sue origini si traduceva nel conflitto col dio e che adesso si risolve unicamente nella sfera umana.

 Enigma, sapienza e dialettica.

Avviene quindi un’umanizzazione dell’enigma che traspone la sua contraddittorietà e il suo spirito agonico dall’àmbito divino a quello umano. C’è una nuova pratica che incomincia a plasmarsi, discendendo dalla sapienza: la dialettica.

Colli spiega che cos’è: “La dialettica è qui usata nel senso originario e proprio del termine, ossia nel significato di arte della discussione, di una discussione reale, tra due o più persone viventi, non escogitate da un’invenzione letteraria.”.

Con la dialettica il “pròblema”, che presso i tragici veniva impiegato col significato di “ostacolo”, a indicare la sfida cui il dio sottopone l’uomo, incarna il passaggio dall’agonismo sapienziale dell’enigma, cifra del conflitto dio-uomo, all’agonismo solo umano tra due persone che si contendono il titolo di sapiente, sollevando un “pròblema”, una questione, un problema, come diciamo noi ancora oggi, che si pone come un dilemma con due opzioni contraddittorie che corrispondono alle due tesi contrapposte che devono essere perorate dall’uno e dall’altro interlocutore.

In sintesi, le basi della filosofia si pongono con la dialettica e la dialettica è frutto di un’umanizzazione dell’enigma che, nell’àmbito di un agonismo solo umano, diventa “pròblema”, “interrogazione”, “ricerca”, “aporia”, “domanda dubbia”. Tutti termini che nell’assimilazione di nuovi significati serbano quelli originari inerenti all’enigma sapienziale-oracolare.

 Il cammino verso la filosofia: la dialettica di Parmenide e Zenone, la retorica di Gorgia e la filosofia di Platone.


 Colli si sofferma sui protagonisti della dialettica, quelli che le hanno dato una statura dirompente e che ne hanno sviluppato le potenzialità sino alle estreme conseguenze (Zenone). Per capire questo discorso bisogna integrare la definizione suddetta di dialettica. Essa è l’arte del discutere tra persone in carne e ossa, intorno ad un certo problema che viene sollevato e che viene trattato da due interlocutori sotto due punti di vista contraddittori, perorando due tesi contrapposte. Una caratteristica congenita della dialettica è la sua vena distruttiva, la sua attitudine naturale a demolire le tesi altrui, ma, se richiesto, anche le proprie. Non importa confutare le tesi altrui, per avvalorare e rafforzare la propria. I dialettici sono dei critici, dei demolitori, dei confutatori  che non avanzano alcuna tesi positiva, costruttiva, perché il loro convincimento radicato e presupposto è che tutto è confutabile e nulla è certo. Questo è lo spirito originario della dialettica. Essa è una tecnica interrogativa che per domande e risposte deduce i tanti anelli di un ragionamento complesso dalle risposte date dal rispondente; questo ragionamento che collega tutte le risposte serve ad esplicitare le incoerenze insite nella perorazione dell’interlocutore avversario.

Dunque, ricapitolando, la dialettica è quell’arte della discussione, congenitamente demolitrice, che è il prodotto della progressiva umanizzazione dell’enigma, del “pròblema” dei tragici, che poi si è trasfigurato nel “pròblema” dei dialettici, emendato da ogni significazione divina e sapienziale. In più, il terreno di coltura dell’enigma era quello divino, ai primordi; divino e insieme umano, in seguito, ed esclusivamente umano a partire dai dialettici. Andiamo ai protagonisti della dialettica. Eraclito, Parmenide e Zenone sono ancora annoverabili tra quei sapienti di mezzo che ancora tentano di coniugare equilibratamente, chi più chi meno, la sfera del divino con la sfera dell’umano, perché, come è stato precisato sopra, sin dalle origini della sapienza greca, è latente questa tensione conflittuale tra il dio e l’uomo. Questa tensione verrà via via stemperata attraverso la marginalizzazione del dio e confinata nell’àmbito del mero agonismo umano (dialettico). Il dio viene sopravanzato dall’uomo. Secondo Colli è intenzione di Eraclito, di Parmenide e di Zenone arginare la tensione nichilistica insita nella dialettica demolitrice, tentando di combinare in modo conciliante il retaggio sapienziale enigmatico-religioso con le nuove acquisizioni: la dialettica.

Eraclito risolve positivamente questa tensione caratterizzando la propria dottrina in senso enigmatico. In altre parole, traccia le linee della sua dottrina al fine di esprimerla come un enigma, sulla scia di quelli antichi, a cui però dà una profondità di significato e di senso inaudita e dalla cui risoluzione fa dipendere la scoperta del dio nascosto che si cela dietro l’apparenza del mondo sensibile, perpetuata dai “dormienti”.

Parmenide, invece, imposta il problema teoretico in forma dialettica e contraddittoria (“è o non è ?”), concedendo qualcosa alla dialettica, ma subito si impegna a preservare l’enigma, il dio nascosto, dalle tensioni nichilistiche della dialettica stessa, per cui subito, sotto l’egida della dea “Aletheia” (“non nascosto”) , fissa incontrovertibilmente come percorribile solo la via dell’essere (“è”), aborrendo il non essere, massima espressione della dialettica e del suo spirito distruttivo, negativo.

Zenone, il discepolo di Parmenide, porta alle estreme conseguenze le potenzialità della dialettica, dando libera stura alle sue istanze nichilistiche (“nichilismo teoretico”), solo, però, per giustificare la dottrina del maestro, dando a vedere quanto il mondo sensibile sia soltanto apparenza che cela il dio nascosto. La dialettica con Zenone diviene da mera tecnica argomentativa una vera e propria “teoria del logos” in cui si mettono a nudo le deficienze della “ragione”.

Dopo Eraclito, Parmenide e Zenone finisce l’età della sapienza e la dialettica si dimostra una premessa vera e propria alla nascita della filosofia. Ma prima bisogna passare per la retorica.

Retorica e filosofia come letteratura.


La retorica è il prodotto del processo di trasformazione della dialettica che già con Zenone aveva sfoggiato la sua vena distruttiva e nichilistica (il “non essere”). Gorgia radicalizza tremendamente l’insegnamento della dialettica enunciando i  tre punti cardinali della sua dottrina:

1)      L’essere non è.

2)      Se anche fosse non sarebbe conoscibile.

3)      Se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile.

Qui lo spirito nichilistico della dialettica è ai massimi livelli, ulteriore sviluppo del livello a cui Zenone l’aveva portata, mirando a salvaguardare la sfera del divino, dell’ “essere” contro il “non essere” sopravanzante. Gorgia non si preoccupa minimamente di ottemperare a questo principio di tutela del divino. Con lui l’universo di discorso è unicamente umano, è quello dei nuovi luoghi di discussione che si formano nelle pòleis, animati dalle nuove passioni politiche e oratorie. Dai luoghi elitari e appartati dei dialoghi eleatici si passa a quelli pubblici e cittadini.

La retorica gorgiana modifica considerevolmente il linguaggio dialettico, volgarizzandolo, politicizzandolo e pubblicizzandolo attraverso la scrittura, un medium di comunicazione nuovo, e ormai in procinto di essere egemone, che con Platone concorrerà alla nascita della filosofia come letteratura dialogica. La retorica trasforma l’agonismo umano dialettico, cambiandone le modalità di esecuzione: non ci sono più due interlocutori appartati che si battono per la sapienza, demolendosi le tesi a vicenda, ma due retori che declamano le proprie orazioni in pubblico, dinanzi ad una gruppo folto di persone che si limitano ad ascoltare. Il giudice non è più il dialettico interrogante, ma il pubblico che si sia dichiarato più “persuaso”. La dialettica mira alla sapienza, la retorica mira alla sapienza per  la potenza. La suggestione è il suo modo di vincere, di conquistare le folle. Questo è il suo obiettivo, la sua ragion d’essere.

Ricapitolando…

Dialettica:

1)      Spirito critico-distruttivo.

2)      Tensione intrinseca ad esautorare la sfera del divino, verso un agonismo esclusivamente umano e mondano.

3)      I protagonisti sono Eraclito, Parmenide, Zenone, ma essa ha origini remote.

4)      Il suo luogo naturale è la riunione appartata ed elitaria in cui prende vita il diverbio tra due interlocutori che perorano due tesi contraddittorie. E’ una pratica essenzialmente orale.

5)      Le sue potenzialità si manifestano nella formulazione di categorie teoretiche astratte, alle quali mai si era giunti prima.


Retorica:

1)      È una radicalizzazione del linguaggio dialettico. Ne accentua la vena distruttivo-negativa.

2)       Elimina la sfera divina dal proprio universo di discorso. L’agone oratorio è mondano ancor di più della dialettica, addirittura sfrenato e privo di scrupoli, quando l’unico fine è il persuadere le folle di astanti e non la sapienza dei dialettici.

3)      Il protagonista (il fondatore) è Gorgia.

4)      Il suo luogo naturale è la pòlis evoluta del V secolo (es. Atene). I dibattiti politici molto partecipati, le dispute oratorie, la scrittura e la sua congenita tensione democratizzatrice (per cui chiunque può imparare a parlare e rendere conto di una tesi) sono elementi da cui non può prescindere.

5)      Il suo medium di esplicazione, la scrittura, insieme con altri suoi elementi, prepara il terreno per la filosofia di Platone. Le sue potenzialità si realizzano nella trattazione di temi politici e morali, diversamente dalla dialettica che si occupa di temi teoretici e astratti.

Colli conclude parlando della filosofia. Essa è un genere letterario nuovo che si esprime nella forma del dialogo, il cui padre è Platone. E’ la combinazione delle due esperienze storico-ideali della retorica e della dialettica, perché tratta rispettivamente sia di temi morali e politici (retorica) sia di temi teoretici astratti (dialettica). Platone si dichiara un “filosofo”, perché non “sapiente” ma “amante della sapienza”. La filosofia trae dalla dialettica la sua essenza intrinseca (il dialogo tra due interlocutori che mira alla sapienza), dalla retorica il suo medium (la scrittura) e la persuasione, finalizzandola però alla ricerca della verità. E’ meglio qui lasciar parlare Giorgio Colli:

“Platone dal canto suo è dominato dal demone letterario, legato al filone retorico, e da una disposizione artistica che si sovrappone all’ideale del sapiente. Egli critica la scrittura, critica l’arte, ma il suo istinto più forte è stato quello del letterato, del drammaturgo. La tradizione dialettica gli offre semplicemente il materiale da plasmare. E neppure vanno dimenticate le sue ambizioni politiche, qualcosa che i sapienti non avevano conosciuto. Dall’impasto di queste doti e di questi istinti sorge la creatura nuova, la filosofia. […]. La “filosofia” sorge da una disposizione retorica accoppiata a un addestramento dialettico, da uno stimolo agonistico incerto sulla direzione da prendere, dal primo presentarsi di una frattura interiore nell’uomo di pensiero, in cui si insinua l’ambizione velleitaria alla potenza mondana, e infine da un talento artistico di grande livello, che si scarica deviando tumultuoso e tracotante nell’invenzione di un nuovo genere letterario.”

Dunque, alla fine occorre fare una “summa”, ovvero chiarire quello che è il filo logico che soggiace alla trattazione del problema generale: “la nascita della filosofia”. Prima bisogna chiarire il quadro, la cornice interpretativa, entro cui si svolge la trattazione, che si può riassumere nella tesi secondo cui la filosofia è la combinazione letteraria, realizzata da Platone, dei due prodotti finali (dialettica prima e retorica poi) del lungo processo di umanizzazione e mondanizzazione dell’agonismo enigmatico-sapienziale-misterico-mistico che vedeva originariamente confliggere l’uomo e il dio (Apollo, Dioniso). Bisogna chiarire anche il presupposto interpretativo: si può dire che Colli, per risolvere il problema sollevato, prende in esame tutte le diverse incarnazioni dell’idea di “logos” che si sono avvicendate nel corso del tempo; in particolare quelle che fanno capo alla sapienza antica, alla dialettica, alla retorica e alla filosofia.



“I sapienti di questa età arcaica, e l’atteggiamento durerà sino a Platone, intendevano la ragione come un “discorso” su qualcos’altro, un “logos” che appunto “dice” soltanto, esprime una cosa differente, eterogenea.”



Dalla sapienza antica, in cui il rapporto uomo-dio si articola mediante un linguaggio enigmatico (“logos”: enigma, “pròblema”, che esprime la “frattura metafisica” tra uomo e dio), si passa allo scontro tra due divinatori (Calcante e Mopso). In seguito, la dialettica intacca il primato dell’agonismo sapienziale antico, mantenendo, in primis, un certo equilibrio tra la sfera positiva del divino (sapienza antica) e quella negativa dell’umano (dialettica); successivamente però l’agonismo si umanizza e mondanizza pressoché totalmente, quando già la dialettica è diventata retorica con Gorgia. Platone, come suddetto, combina virtuosamente retaggi diversi tramandati dal passato, quali la dialettica, la retorica e la sapienza antica. Quest’ultima viene assurta dal filosofo a ideale da riabilitare e a cui improntare il proprio stile di vita filo-sophico (“amante della sapienza”).



                                                                                                                                      Ugo Giarratano

1 commento:

  1. Un articolo decente ma all'inizio pessimo, come sempre le idiozie sulla nazificazione imperano.

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