martedì 16 settembre 2014

La crisi in Iraq porterà a una nuova politica estera europea?

Servono gli Stati Uniti d'Europa per affrontare il futuro

Non potrà esserci una politica estera europea finché non si risolverà la crisi economica e democratica

Il 29 giugno 2014 è stata annunciata la formazione del "nuovo califfato", il leader fondamentalista dell'Isis Abū Bakr al-Baghdādī diviene il suo califfo e il gruppo cambia formalmente nome in "Stato Islamico". Da quel giorno la crisi in Iraq ha preso il sopravvento nel palcoscenico internazionale. Durante l'avanzata dell'Isis siamo venuti a conoscenza delle atroci barbarie commesse dalla nuova formazione terroristica. Ormai l'Isis si estende dalla Siria fino a gran parte dell'Iraq. L'escalation delle violenze estremiste e la veloce avanzata del gruppo armato hanno mostrato tutta l'impotenza del mondo occidentale, incapace di tratteggiare anche una minima strategia. In passato, alla caduta del muro di Berlino, si pensava che l'unico modo per garantire la democrazia nel mondo fosse appoggiarsi all'idea dell'Impero Americano, arbitro delle dispute mondiali. Da questo presupposto muovono molte delle crisi passate: Somalia, Afghanistan, Kosovo, Iraq. L'Europa ha sempre seguito il patriarca americano in politica estera, affidandosi alle sue decisioni nel bene e nel male senza mai porsi una strategia per il futuro. Il disastro della guerra in Iraq ha portato alla destabilizzazione dell'area Medio Orientale, causando 1 milione di vittime civili, alimentando l'odio nei confronti dell'Occidente. Più di recente abbiamo assistito all'ennesimo errore in politica estera con la destituzione del dittatore Gheddafi in Libia; azione che ha portato la nazione libica nel caos totale, con 2 parlamenti e una guerra civile in atto. La grave crisi dell'immigrazione odierna deriva in larga scala dalle guerre e dagli errori portati anche dall'occidente. L'idea di base del mondo occidentale era quella di esportare la democrazia, i diritti civili e sociali, salvaguardare i diritti umani e fondamentali, costruire una società globale giusta e pacifica. Si era compreso che in un contesto globale le forze democratiche non potevano rimanere inermi di fronte a dittature e regimi lesivi dei diritti delle persone. Lezione tratta dalla Prima e Seconda Guerra Mondiale, che portò gli Stati Uniti a optare per una politica interventista (oltre che per interessi prettamente economici come il petrolio). Il fallimento di tale politica ha però portato a rimpiangere i vecchi dittatori quali erano Gheddafi e Saddam pur di vedere una stabilità. Il susseguirsi di guerre in Medio Oriente ha dimostrato la totale mancanza di prospettiva e strategia politica all'interno delle crisi da parte dell'occidente. Nelle due Guerre Mondiali gli Stati Uniti avevano ben chiaro il mondo che volevano costruire e quali passi compiere successivamente all'intervento militare. Si pensi alla creazione delle Nazioni Unite o al piano Marshall. Dalla caduta del muro di Berlino è scomparsa la strategia politica e la capacità di costruire delle prospettive successive al bombardamento o intervento terrestre. Nell'era della modernità la politica ha lasciato spazio all'improvvisazione. Vediamo anche oggi l'impreparazione delle forze occidentali, gli Stati Uniti non possono ergersi più ad arbitro globale e non hanno una linea se non quella di bombardare. L'Unione Europea non essendo davvero un unione politica tra Stati sovrani rimane inerme, e si accoda al bombardamento americano. Come se non bastasse, è in atto anche la crisi Ucraina, con lo scontro a colpi di sanzioni con la Russia di Vladimir Putin.
Oggi si esclude l'intervento militare con forze terrestri in Iraq, ma la storia insegna che dopo i primi raid i bersagli iniziano a essere meno evidenti e le vittime collaterali aumentano, inoltre non si può riconquistare il territorio senza truppe terrestri. Per questo si cerca di aggirare il problema affidandosi ai peshmerga curdi per liberare l'Iraq. I nostri soldati cuscinetto sono però male addestrati e combattano senza armamenti significativi (ricordano i nostri soldati della Prima Guerra Mondiale) contro un vero e proprio Stato terroristico colmo di finanziamenti, petrolio e armi pesanti come tank o blindati americani. Non si può pensare che il semplice invio di vecchi kalashnikov e altri fucili possa permettere ai curdi di combattere l'Isis. Questo è l'ennesimo esempio della mancanza di strategia. Per sconfiggere l'Isis non si può attendere, bisogna affrontare il conflitto o con l'invio di truppe o armando seriamente i peshmerga. La prima ipotesi segnerebbe l'ennesimo disastro militare in Iraq, la seconda comporterebbe delle conseguenze geopolitiche considerevoli. Infatti i curdi non si faranno mica uccidere gratis; se saranno armati e avranno sconfitto l'Isis vorranno riconosciuto un proprio Stato autonomo e questo comprometterebbe non poco il rapporto con la Turchia. Inoltre da tale crisi arriviamo a riabilitare soggetti fino a poco prima considerati come mostri; vediamo così Hassad come principale alleato contro l'Isis. Questo però porta ad alcuni interrogativi etici e morali: se per difenderci dalle minacce terroristiche e fondamentaliste accettiamo come alleati dittatori repressivi e sanguinari, allora  che tipo di mondo vogliamo costruire? Ecco una altro esempio di mancanza di prospettiva politica. L'accordo con Hassad è dettato dalla gravità del momento ma successivamente cosa avverrà? Se armiamo i curdi dopo cosa faremo? Se sconfiggeremo l'Isis cosa costruiremo? Questo riguarda anche la crisi Ucraina: se ci si può accordare con Hassad perché non ci si può accordare con Putin, dal quale siamo dipendenti economicamente ed energicamente. Per questi motivi è necessaria una politica estera europea univoca e chiara che cerchi di risolvere le crisi globali. La soluzione sembra semplice ma non ci può essere una politica estera europea senza una reale unione politica europea, che a sua volta non può esistere se non si risolverà la crisi economica. Tutti i fattori sono correlati e assumono conseguenze per il mondo intero. Come può esserci una politica estere senza una cessione di sovranità? Come può esserci una cessione di sovranità se l'Unione Europea al momento è solo un unione economica-monetaria gestita da tecnici e burocrati? Allo stesso modo, perché i vari stati dovrebbero intraprendere una strada comune se i paesi mediterranei si sentono oppressi dall'austerità e i paesi del nord accusano i primi di incompetenza? Questi elementi dimostrano come i vari problemi dell'Europa siano collegati e va cercata una soluzione per ognuno di essi, altrimenti il castello cadrà. Si rende quindi necessario per i paesi più in crisi l'attuazione di riforme strutturali per invertire la rotta e conseguentemente investimenti dell'Unione Europea per rilanciare l'economia e l'occupazione. Al conseguimento di tale prospettiva potrà iniziare la vera unione politica, le crisi pressanti porteranno passo dopo passo (si spera) verso gli Stati Uniti d'Europa. Ampliamento dei poteri della  Bce per renderla come la Fed americana, creazione di eurobond e quindi comunione dei debiti pubblici, politica industriale e monetaria europea comune. Per la creazione di una vera politica estera con strategia e prospettiva bisognerà risolvere i nodi cruciali del ventunesimo secolo: 1) non essere più dipendenti dalla volontà e protezione americana, con la costituzione di un unico esercito europeo; 2) eliminare la dipendenza dal petrolio Mediorientale e dal gas russo tramite un New Deal verde, ovvero un grande piano di investimenti europei volti allo sfruttamento in larga scala dell'energia rinnovabile come solare e geotermico per diventare autosufficienti dal punto di vista delle risorse energetiche. Senza la risoluzione di tutti questi fattori non avremo mai una politica estera europea, non troveremo mai una soluzione diversa dai bombardamenti per le crisi odierne e non potremo essere al sicuro da possibili aggressioni. Se non cominciamo subito questo processo lasceremo il mondo nel caos e nelle barbarie, e non costruiremo mai una società globale giusta e democratica.

Giorgio Mineo           


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