venerdì 9 agosto 2013

Viaggio nella mente del "mafioso"

La mafia in psicoterapia: di Girolamo Lo Verso



5/08/13 San Vito Lo Capo: ottavo incontro  regolare del celebre appuntamento culturale Sanvitese “Libri, autori e buganvillee” condotto da Giacomo Pilati, che quest’anno si tiene dal 5 Luglio al 30 Agosto e che ha già annoverato la presenza di celebri personaggi e autori quali Marcello Sorgi, il pm Raffaele Cantone autore di “football clan” e Catena Fiorello. Ospite della serata è il professore ordinario di psicologia clinica presso l’Università di Palermo Girolamo Lo Verso, il quale presenta “La mafia in psicoterapia”, opera che continua la via del suo gruppo analista intrapresa dopo il caso Vitale. Tema centrale del libro sono le testimonianze e i risultati ottenuti in anni di ricerca; basato su casi clinici completi, il professore delinea i tratti psicologici che determinano il cosiddetto “mafioso”. La premessa da cui partire è quindi molto importante poiché è necessario attuare, alla luce del lavoro di analisi, una distinzione tra il mafioso e il colluso con la mafia. La ricerca dei caratteri del mafioso doc assume quindi dei margini ben delineati: il mafioso puro nasce da una famiglia mafiosa, vive in un ambiente mafioso, viene selezionato e addestrato fin da bambino ad assumere il ruolo che gli spetta per diritto di sangue. In questo contesto si comprende come il mafioso sia costruito fin dall’infanzia, e le conseguenze di questo trattamento si riscontrano immancabilmente nella personalità dell’individuo. Il mafioso è educato al rispetto di un'unica regola, un unico valore, il potere. La vita del mafioso è quindi incentrata sulla ricerca di sempre maggior potere da esercitare sugli altri. Il mafioso viene perciò costruito, diventa ciò per cui è stato destinato ad essere per diritto di sangue. Le caratteristiche prettamente umane sono assenti o oscurate dalla ricerca del potere; la sua vita si basa solo su questo principio che lo incapacita dal provare emozioni umane quali rimorso, compassione, amore ecc. La cosa che colpisce di più è anche la totale assenza della ricerca del piacere. Soldi, belle macchine, belle donne, ville, niente di tutto ciò interessa il mafioso.
Mettiamoci in testa che il mafioso non è quello dei ritratti hollywoodiani che ci propina il cinema oltreoceano, dice il professor Lo Verso; la verità è che il mafioso non prova e non ricerca il piacere, è incapacitato dal provare amore e non è interessato alle belle donne, le quali sono per lui solo un altro mezzo per ostentare potere. Il mafioso costruito in fasce diventa perciò una non persona, un essere umano privato della sua umanità, un essere che non ha mai posseduto un suo io. Non c’è da stupirsi, alla luce dei risultati ottenuti da queste ricerche cliniche, se alla cattura di un noto boss latitante, come fu per Provenzano, si scopre essere vissuto nelle condizioni peggiori, senza comfort, magari in un buco di pietra in aperta campagna, pur possedendo patrimoni per centinaia di milioni di euro. Caso diverso per coloro che sono intorno alla mafia, sia indirettamente come può esserlo ognuno di noi, sia direttamente come i collusi. La sola idea della mafia e la paura che essa comporta condiziona chiunque nella vita quotidiana al punto che ancora oggi molte persone in molti quartieri non riescono neanche a parlarne. Un esempio del potere psicologico che possiede la mafia viene dalle testimonianze dei commercianti: compiendo un’ analisi sui soggetti presenti ad un incontro di sostegno per i commercianti di “Addio Pizzo”, si è riscontrato che tutti i presenti avevano paura di ritorsioni e di subire episodi di violenza da parte della mafia. La particolarità della ricerca sta nel fatto che il risultato unanime è stato riscontrato sia nella metà che non ha mai pagato il pizzo o non ha mai ricevuto visite e minacce da parte della mafia, sia da chi questi eventi li ha vissuti in prima persona. Il commerciante vive quindi una condizione di eterna angoscia, di paura verso se stessi e verso i propri cari, bloccato in una morsa di veleno che lentamente distrugge l’anima. Solo attraverso il gruppo e il confronto si può superare indenni psicologicamente una tale pressione, ribadisce il professore Lo Verso.
Altro esempio eclatante è un caso tipico che accade in ambienti soggetti al potere mafioso. Un commerciante che all’apertura della sua attività lavorativa trova la serratura bloccata dall’attack, subisce una pressione psicologica nei giorni successivi che lo porteranno ad andare lui stesso di fronte ai malavitosi per pagare il pizzo e mettersi per così dire “in regola”, pur non avendo mai subito realmente richieste o minacce da parte del organizzazione criminale. La mafia non possiede dunque solo una struttura, una cupola, ma possiede una vera e propria identità, una cultura aggrappata alle tradizioni nella quale le future generazioni sono solo un guscio da riempire per assumere al meglio il ruolo insignitogli dalla comunità. Non vi è da combattere solo un organizzazione, ma vi è anche un modo di pensare che deve essere assolutamente estirpato, impedendo che le nuove generazioni vengano intrappolate nella rete del “malo-affare”.    

Giorgio Mineo

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