sabato 9 marzo 2013


La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art.1
Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
Art.2
Piena e intera esecuzione è data all'accordo con protocollo addizionale di cui all'articolo precedente a decorrere dalla sua entrata in vigore in conformità all'articolo 13, n. 1, dell'accordo stesso.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi dei decreti della repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 25 marzo 1985
PERTINI
Craxi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il guardasigilli Martinazzoli
ACCORDO
LA SANTA SEDE
E LA REPUBBLICA ITALIANA
Tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;
avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;
considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;
hanno riconosciuto l'opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense.
Art.1
La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese.
Art.2
1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica.

2. È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa.

3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

4. La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.

Art.3
1. La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è liberamente determinata dall'autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato.

2. La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamente effettuata dall'autorità ecclesiastica. Quest'ultima dà comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l'ordinamento dello Stato.

3. Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo, ecclesiastici che non siano cittadini italiani.

Art.4
1. I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti hanno facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati dal servizio militare oppure assegnati al servizio civile sostitutivo.

2. In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari.

3. Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare accordati agli studenti delle università italiane.

4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.

Art.5

1. Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica.

2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica.

3. L'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali.

Art.6
La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d'intesa fra le Parti
Art.7
1. La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato dall'articolo 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
2. Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi.
3. Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.
4. Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di atti, le affissioni all'interno o all'ingresso degli edifici di culto o ecclesiastici, e le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al regime vigente.
5. L'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche.
6. All'atto della firma del presente Accordo, le Parti istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici. In via transitoria e fino all'entrata in vigore della nuova disciplina restano applicabili gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del precedente testo concordatario.
Art.8
1. Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l'atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile.
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l'età richiesta per la celebrazione;
b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile. La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta.
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi.
2. Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda della parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d'appello competente, quando questa accerti:
a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo;
b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano;
c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere.
La corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia.

3. Nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l'esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società.
Art.9
1. La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell'insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l'esame di Stato.
2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
Art.10
1. Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica.

2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia.

3. Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica.
Art.11
1. La Repubblica italiana assicura che l'appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio della libertà religiosa e nell'adempimento delle pratiche di culto dei cattolici.

2. L'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità.
Art.12
1. La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti.

2. La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l'onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe.
Con l'osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle sacre reliquie.
Art.13
1. Le disposizioni precedenti costituiscono modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due Parti, ed entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo quanto previsto dall'articolo 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate.

2. Ulteriori materie per le quali si manifesti l'esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.
Art.14
Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un'amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.

Agostino Card. Casaroli
Bettino Craxi
Visto, il Ministro degli affari esteri
Andreotti

PROTOCOLLO ADDIZIONALE
Al momento della firma dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:
1. In relazione all'articolo 1
Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.
2. In relazione all'articolo 4
a) Con riferimento al n. 2, si considerano in cura d'anime gli ordinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di chiese aperte al culto ed i sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di assistenza spirituale di cui all'articolo 11.
b) La Repubblica italiana assicura che l'autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.
c) La Santa Sede prende occasione dalla modificazione del Concordato lateranense per dichiararsi d'accordo, senza pregiudizio dell'ordinamento canonico, con l'interpretazione che lo Stato italiano dà dell'articolo 23, secondo comma, del Trattato lateranense, secondo la quale gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani
3. In relazione all'articolo 7
a) La Repubblica italiana assicura che resterà escluso l'obbligo per gli enti ecclesiastici di procedere alla conversione di beni immobili, salvo accordi presi di volta in volta tra le competenti autorità governative ed ecclesiastiche, qualora ricorrano particolari ragioni.
b) la Commissione paritetica, di cui al n. 6, dovrà terminare i suoi lavori entro e non oltre sei mesi dalla firma del presente Accordo.
4. In relazione all'articolo 8
a) Ai fini dell'applicazione del n. 1, lettera b), si intendono come impedimenti inderogabili della legge civile:
1) l'essere uno dei contraenti interdetto per infermità di mente;
2) la sussistenza tra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti civili;
3) gli impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta.
b) Con riferimento al n. 2, ai fini dell'applicazione degli articoli 796 e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della specificità dell'ordinamento canonico dal quale e regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine. In particolare:
1) si dovrà tener conto che i richiami fatti dalla legge italiana alla legge del luogo in cui si è svolto il giudizio si intendono fatti al diritto canonico;
2) si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico;
3) si intende che in ogni caso non si procederà al riesame del merito.
c) Le disposizioni del n. 2 si applicano anche ai matrimoni celebrati, prima dell'entrata in vigore del presente Accordo, in conformità alle norme dell'articolo 34 del Concordato lateranense e della legge 27 maggio 1929, n. 847, per i quali non sia stato iniziato il procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria civile, previsto dalle norme stesse.
5. In relazione all'articolo 9
a) L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell'insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche;
2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni;
3) i criteri per la scelta dei libri di testo;
4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.
c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da norme particolari.
6. In relazione all'articolo 10
La Repubblica italiana, nell'interpretazione del n. 3 - che non innova l'articolo 38 del Concordato dell'11 febbraio 1929 - si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo.

7. In relazione all'articolo 13, n. 1
Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l'attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo.
Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.

Agostino Card. Casaroli
Bettino Craxi
Visto, il Ministro degli affari esteri
Andreotti
Religione come «fondamento e coronamento» dell’istruzione scolastica
Il Concordato del 1929 non è stato un fulmine a ciel sereno nella realtà politica e culturale italiana quanto piuttosto il compimento di un processo iniziato con la progressiva affermazione del fascismo. Già al principio del 1928 era stato emanato il testo unico delle leggi concernenti l’istruzione elementare che recita:
«A fondamento e a coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica […]. Sono esentati dall’istruzione religiosa nella scuola i fanciulli i cui genitori dichiarino di volervi provvedere personalmente» (regio decreto 5 febbraio 1928 n. 577)36.
Pagano ricorda giustamente un secondo testo significativo – il regolamento generale, emanato con il regio decreto 26 aprile 1928 n. 1297 – in cui si precisano aspetti come le ore di insegnamento (art. 108), il meccanismo dell’idoneità e di nomina degli insegnati di religione (artt. 109, 110 e 111), l’obbligo per i genitori e gli esercenti la patria potestà intenzionati a esentare i propri figli dall’insegnamento religioso cattolico di presentare una dichiarazione scritta, indirizzata al direttore didattico di istituto (art. 112). Questa linea di tendenza porterà, l’11 febbraio 1929, alla firma dei Patti Lateranensi. In essi viene confermato il principio, già consacrato nel primo articolo dello Statuto albertino, secondo cui: «la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato».
Con questa firma Mussolini – l’uomo che «la Provvidenza Ci ha fatto incontrare», per riprendere le note parole di Pio XI37 – aveva messo a tacere ogni forma di dissenso. Sulla base dello Statuto del 1848 venne sottoscritta la dichiarazione seguente:
«L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato. Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato da parte dell’Ordinario Diocesano. La revoca del certificato da parte dell’Ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare. Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall’autorità ecclesiastica»38.
Successivamente ci si curò di regolare, con un apposito provvedimento, la questione dei rapporti con le confessioni diverse da quella cattolica (legge 24 giugno 1929 n. 1159). Questa legge sostituì, all’art. 1, la dizione «culti tollerati» del regio decreto del 1848 con la formula «culti ammessi». Col senno di poi, i valdesi e gli altri evangelici italiani sarebbero stati più prudenti nell’accogliere una tale modifica con smisurato entusiasmo, come giustamente osserva Jean-Pierre Viallet39. La politica di autodifesa e di rassegnato silenzio che caratterizzò gli anni del regime fascista non permise ai valdesi e agli evangelici italiani, se non in alcune frange minoritarie, di rendersi pienamente conto di quale era la reale posta in gioco e di ciò che stava succedendo40.
Giorgio Peyrot ha giustamente fatto notare che il fascismo non ha mai accettato la concezione cattolica della scuola anche se ha utilizzato l’insegnamento della religione a cui ha riconosciuto un valore educativo e morale, limitando il ruolo e la presenza dell’autorità ecclesiastica nella scuola, avocando allo Stato il compito dell’insegnamento religioso nella scuola e infine garantendo la libertà di coscienza degli alunni di altra religione con l’istituto della dispensa. Il fascismo non ha mai accettato la visione cattolica della scuola secondo cui «la Chiesa dovrebbe avere unapotestà diretta sull’insegnamento religioso ed una indiretta su tutte le altre materie di studio»41. Solo quando furono pubblicate le norme di attuazione della legge sui culti ammessi ci si rese conto del loro carattere fortemente restrittivo42. Con il Concordato del 1929 l’insegnamento religioso diventa obbligatorio nella scuola di Stato, non soltanto nelle scuole elementari, ma viene esteso anche alla scuola media. Chi cattolico romano non è ricorrerà all’esonero da tale insegnamento, e questa prassi resterà in vigore fino alla revisione del Concordato del 1984. Un ulteriore irrigidimento confessionale avvenne successivamente con l’introduzione dei nuovi programmi didattici per le scuole elementari e materne con il decreto-legge 24 maggio 1945 n. 459, che favorì il dilagare dell’‘insegnamento diffuso’ della religione cattolica oltre a quello ‘speciale’ di tipo catechistico, con un proprio orario43. Il progressivo scivolamento in questa direzione fece sì che l’insegnamento della religione cattolica perse il profilo di una materia d’insegnamento e che gli insegnanti di religione assunsero sempre più, con grande disinvoltura, il ruolo di ‘esperti d’umanità’44.
L’Assemblea Costituente e gli articoli 7 e 8 della Costituzione
La fine della seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo insieme al referendum popolare che trasformò l’Italia da Regno a Repubblica ponevano l’esigenza di individuare le nuove basi per l’avvio di una vita nazionale nel segno della libertà e della democrazia. Ci si aspettava pertanto che dalla Costituente potesse emergere una visione dello Stato capace di superare definitivamente l’idea di Stato confessionale – qual era l’Italia – e di guardare al problema dell’insegnamento religioso nella scuola di Stato in una nuova ottica. Le cose però andarono diversamente. Gli evangelici italiani e gli ebrei, che avevano partecipato in modo attivo alla Resistenza, si spesero con grande generosità a favore della libertà religiosa e della laicità dello Stato.
Dopo ripetuti interventi rivolti all’Assemblea Costituente, il 3 marzo 1947 l’Unione delle comunità israelitiche inviò un documento ufficiale sul progetto in discussione, sottoscritto dal presidente dell’Unione Raffaele Cantoni, in cui si afferma tra l’altro:
«È superfluo osservare […] che i concetti di parità e di uguaglianza escludono non soltanto quello di ‘tolleranza’ dello Statuto albertino, ma anche quello di ammissione, delle leggi fasciste. Lo Stato non deve né ‘tollerare’ né ‘ammettere’. Esso deve dichiarare e riconoscere semplicemente che ognuno ha il diritto di professare o non professare un culto, e che, professando o non professando, resta un cittadino come tutti gli altri […]»45.
Gli evangelici, dal canto loro, istituirono subito un Consiglio federale come voce ufficiale per rappresentare la loro posizione alla Costituente. Numerosi furono gli interventi e le dichiarazioni dei protestanti italiani sul tema della libertà religiosa. Il Centro evangelico di cultura di Roma riassunse la propria posizione in tre principi fondamentali: la piena e «completa libertà di coscienza e di religione», l’«assoluta indipendenza di tutte le Chiese» e la «neutralità religiosa», che non vuol dire:
«professione di ateismo, ma imparzialità dello Stato, non confessionale e libero da ogni ingerenza ecclesiastica. Alla parità dei culti e all’eguaglianza dei cittadini indipendentemente dal culto professato, consegue la libera attività delle Chiese, la laicità della scuola pubblica e la libertà dell’insegnamento religioso privato. Nella libertà e nella parità nessuno è diminuito nei suoi diritti, ma ciascuno vive nel mutuo rispetto di tutte le esigenze spirituali»46.
La voce protestante e quella ebraica non riuscirono però a far breccia in mezzo ai compromessi politici fra democristiani e comunisti che si erano ormai delineati e alla loro posizione sulla libertà religiosa – come quella di autorevoli voci laiche: Lelio Basso e Piero Calamandrei fra tutti – non fu riservata grande considerazione. Si giunse così all’approvazione degli articoli 7 e 8 della Costituzione47.
Il 25 marzo 1947 la maggioranza dell’Assemblea costituente, con il voto determinante del Partito comunista, decise di richiamare nella Carta costituzionale dell’Italia democratica i Patti Lateranensi, un vero e proprio corpo estraneo alla vita democratica e alla libertà religiosa di un paese moderno. Piero Calamandrei, che si era opposto a quella decisione con grande tenacia, commentò la votazione con queste parole:
«Quando fu proclamato il risultato (359 favorevoli e 149 contrari) nessuno applaudì, nemmeno i democristiani, che parevano fortemente contrariati da una vittoria raggiunta con quell’aiuto. Neppure i comunisti parevano allegri; e qualcuno notò che uscendo a tarda ora da quella seduta memoranda, camminavano a fronte bassa e senza parlare»48.
Il peso di questa decisione fu tale che neppure la revisione concordataria del 1984 riuscì a incidere sulla sostanza del problema. Come diremo fra poco, l’enorme macigno che condiziona la vita democratica italiana in tutte le sue molteplici dimensioni è tuttora assai difficile da rimuovere. Sergio Lariccia49 ha messo in evidenza le numerose contraddizioni – esse stesse lesive, peraltro, del principio fondamentale della libertà religiosa – che questa decisione ha comportato per la vita democratica del nostro paese: contraddizioni che si sono ripetute, mutatis mutandis, anche all’indomani della firma del nuovo Concordato (1984).
La revisione del Concordato del 1984. Verso la fine dello Stato confessionale?
La revisione del Concordato del 1984 avrebbe dovuto tradurre nella pratica il necessario aggiornamento nei rapporti Stato-Chiesa invocato dal concilio Vaticano II. Ciò che non si era osato fare prima, nonostante i diversi tentativi compiuti dai vari governi succedutisi tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta50, e che avrebbe forse permesso una più dignitosa revisione concordataria, avvenne sotto la presidenza del socialista Bettino Craxi. Il presidente del Consiglio, animato da grandi propositi, finì per sottoscrivere un testo che ben poco aveva a che fare, in realtà, con la migliore tradizione socialista, e ancor meno con gli orizzonti di apertura e di novità profilati dal concilio Vaticano II. Ancora una volta la politica vaticana era riuscita a dettare la propria legge, rifiutando di prendere in esame la posizione di quei cattolici che, nella scia degli elementi di novità introdotti dal concilio Vaticano II, erano pronti a impostare in modo nuovo l’insegnamento della religione nella scuola di Stato, prendendo atto sia del pluralismo religioso esistente in Italia, sia di nuove esigenze dettate dalla moderna pedagogia religiosa51. Queste idee innovative, espresse da illustri pedagogisti e da uomini politici anche democristiani, non furono tenute in alcun conto. In concreto, tra le diverse ipotesi circolanti in quel periodo, la più plausibile era quella di attivare, all’interno della scuola, un duplice insegnamento: uno di cultura religiosa, obbligatorio, aconfessionale, rivolto a tutti gli studenti, e un secondo – invece confessionale – facoltativo. Era l’ipotesi del ‘doppio binario’, che venne però bocciata dagli organi ufficiali della Chiesa cattolica e considerata con sospetto da molti laici52. Vanno altresì menzionati l’impegno anticoncordatario delle Comunità cattoliche di base (Cdb), i numerosi convegni e documenti in cui si richiedeva l’abolizione dell’insegnamento religioso nella scuola53 e ancora il movimento Cristiani per il socialismo54. È importante ricordare questi movimenti e le iniziative da loro allestite – che videro la partecipazione anche di numerosi giovani protestanti italiani – perché essi testimoniavano la presenza di una voce viva del cristianesimo italiano: di un cristianesimo che cercava il cambiamento e che era animato, in definitiva, da una forte volontà ecumenica, di rinnovamento ‘anticostantiniano’ della Chiesa e della società.
Il 18 febbraio 1984 vennero stipulati, come noto, gli accordi di Villa Madama. Sul tema dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato, il nuovo testo concordatario prevede quanto segue:
«La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. – Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. – All’atto di iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione» (art. 9, comma 2).
Nel complesso, l’accordo ha ben poco a che fare con lo ‘spirito’ del Vaticano II. Questo risulta evidente soprattutto se si considera il passaggio della costituzione pastorale Gaudium et spes in cui si dichiara la disponibilità della Chiesa a «rinunciare», per testimoniare con maggiore coerenza il Vangelo, «a certi diritti legittimamente acquisiti» (§ 76).
Butturini osserva che rappresenta certamente un elemento di «incongruenza» il fatto che da un lato si riconosca il valore della cultura religiosa e l’appartenenza dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano, mentre dall’altro si faccia poi appello alla libertà di coscienza rispetto alla possibilità di avvalersi o di non avvalersi di tale insegnamento. Parimenti contraddittorio è inoltre il fatto di ammettere una scelta pretendendo che essa non comporti, di per se stessa, «una discriminazione»55. In realtà, cosa viene offerto a chi sceglie di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica? E di fronte a un insegnamento confessionale che non offre alternative concrete, praticabili, l’esercizio della libertà di coscienza non rischia di ridursi a una semplice ‘libertà di ignoranza’? Se è venuto a cadere il riferimento al «fondamento e coronamento» presente nel Concordato del 1929, l’insegnamento confessionale cattolico si è ulteriormente ampliato, ma soprattutto si è confermata la norma per la quale i docenti, pur pagati dallo Stato, sono scelti dalle curie.
La nuova concezione concordataria è espressa dal concetto di ‘cooperazione’ tra Chiesa cattolica e Stato in vista della maturazione culturale degli alunni. In questa prospettiva si tiene a chiarire che l’insegnamento della religione cattolica non è una forma di catechesi, bensì la proposizione di una «cultura religiosa» da elaborare nel «quadro della scuola [pubblica]» (legge 25 marzo 1985 n. 121). È una delle tante incongruenze dell’accordo, perché se così fosse, non si capirebbe allora perché siano ancora i vescovi a dover scegliere gli insegnanti di religione cattolica. Il magistrato Gian Paolo Meucci ha sostenuto che la soluzione tracciata dal nuovo Concordato costituisce un vero e proprio tradimento della funzione educativa nei confronti delle nuove generazioni, perché sia lo Stato che la Chiesa sono venuti meno, di fatto, ad una delle missioni fondamentali: essere delle «comunità educanti, e non esclusivamente i sostenitori e i rivendicatori di principi, ideologie e situazioni di potere interessanti le due istituzioni e, comunque, la sensibilità e le scelte politiche degli adulti»56.
Si è così pronunciata la parola ‘fine’ a tutto quel movimento di rinnovamento cattolico che aveva caratterizzato il dibattito pedagogico, culturale e politico concernente le modalità di insegnamento della religione nella scuola e che aveva saputo coinvolgere i luoghi istituzionali di formazione, gli insegnanti e le riviste specializzate. Lelio Basso, in un discorso pronunciato in Senato il 7 dicembre 1978 durante il dibattito sulla revisione del Concordato, dopo aver osservato che «l’utopia dell’abrogazione del Concordato era rimasta fuori dall’aula» dichiarò con voce ferma:
«io non ho timore di confessare questa utopia, come non ho timore di confessare l’altra utopia, la più grande e la più pericolosa, che tutti gli uomini, come è scritto nella nostra Costituzione, avranno un giorno su questa terra pari e piena dignità sociale, saranno da tutti considerati fini e non strumenti del potere altrui»57.
L’intesa stipulata successivamente fra il governo e l’episcopato (decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985 n. 751) ha riconosciuto lo statuto di «dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline» (art. 4 comma 1) all’insegnamento della religione cattolica. Se da un lato dunque, a 136 anni di distanza dallo Statuto albertino, si sollecitava con un apposito provvedimento normativo la fine della religione di Stato, dall’altro la revisione del Concordato del 1984 rappresentava il coronamento della politica della Chiesa cattolica.
Le intese: quale insegnamento religioso nella scuola?
L’art. 8 della Costituzione richiedeva, però, anche un’iniziativa dello Stato nei confronti delle minoranze religiose, se non altro in considerazione del fatto che lo Stato medesimo non aveva sino ad allora assunto alcuna iniziativa concreta in quella direzione. Così, all’indomani dell’approvazione del nuovo Concordato fra Stato e Chiesa cattolica, venne approvato il testo della prima ‘intesa’ con una confessione religiosa diversa da quella cattolica: la Chiesa valdese, ufficialmente rappresentata dal suo organo esecutivo: la Tavola valdese.
Secondo l’art. 8 della Costituzione anche le minoranze religiose sono «egualmente libere» davanti alla legge. Non solo. Esse ora sono anche invitate a regolare il loro rapporto con lo Stato attraverso la stipula di appositi accordi bilaterali. I valdesi in particolare – che da sempre avevano sostenuto la necessità di un regime separatista – avrebbero dovuto ridefinire la loro posizione: non più «tollerati», non più riconosciuti come «culti ammessi» ma come soggetti capaci di un’intesa con lo Stato58. Tuttavia, rispetto alla questione specifica dell’insegnamento religioso nelle scuole, che tipo di impostazione avrebbe adottato una comunità confessionale che nessun’altra opportunità aveva avuto, se non quella dell’esonero?
Per i valdesi, che furono i primi a stipulare l’intesa, era chiaro che per la loro storia e la loro cultura non avrebbero potuto accettare l’idea di un insegnamento confessionale della religione nella scuola pubblica, e lo stesso si può dire degli ebrei. Al tempo stesso, però, i valdesi riconoscevano l’importanza della scuola come luogo di formazione di una cultura religiosa per le nuove generazioni. Era anzi la loro stessa storia a richiedere un tale riconoscimento. Tuttavia, come sarebbe stato possibile per loro accedervi, se la Chiesa cattolica non avesse rinunciato – come sembrava non voler fare – alla caratterizzazione in senso confessionale dell’insegnamento religioso? L’iter di preparazione dell’intesa innescò un appassionato dibattito interno al mondo valdese. Già nel febbraio 1978 la Tavola aveva concluso, per parte sua, l’elaborazione della proposta che sarebbe stata poi presentata allo Stato in vista dell’accordo. Le autorità statali, tuttavia, ritennero opportuno archiviare temporaneamente la proposta dei valdesi. Questo perché esse temevano che un’approvazione dell’intesa con i valdesi avrebbe potuto rappresentare, data anche l’impostazione laica del loro operato, un precedente pericoloso per l’eventuale revisione del Concordato fra Santa Sede e Stato italiano.
Gli artt. 9 e 10 dell’intesa sono definiti sulla base degli artt. 3, 8 e 33 della Costituzione ovvero secondo un dichiarato approccio ‘anticoncordatario’, che i valdesi speravano potesse farsi strada anche nel Parlamento italiano. Così non fu. La proposta d’intesa avanzata dai valdesi – che nell’ottica del suo principale artefice, il professor Giorgio Peyrot, avrebbe potuto indicare all’Italia un concreto percorso di affrancamento da una visione confessionale dell’insegnamento religioso – venne discussa e approvata soltanto ‘dopo’ il raggiungimento dell’accordo fra Santa Sede e Stato italiano. In tal modo, l’intesa con la Tavola valdese (sancita dalla legge 11 agosto 1984 n. 449), e il suo portato di laicità, venne non solo preventivamente disinnescata, ma anche considerata su un piano di subalternità all’accordo concordatario.
La posizione dell’intesa dei valdesi sulla cultura religiosa e sull’insegnamento della religione nella scuola è contenuta negli artt. 9 e 10. L’art. 9, poi recepito dallo Stato, recita:
«La Repubblica italiana prende atto che la Tavola valdese, nella convinzione che l’educazione e la formazione religiosa dei fanciulli e della gioventù sono di specifica competenza delle famiglie e delle chiese, non richiede di svolgere nelle scuole gestite dallo Stato […] l’insegnamento di catechesi o di dottrina religiosa o pratiche di culto».
Siccome però la repubblica italiana «assicura l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori», ecco che essa avrebbe dovuto riconoscere «agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell’insegnamento religioso per loro dichiarazione, se maggiorenni, o altrimenti per dichiarazione di uno dei loro genitori o tutori». Infine, si prevedeva anche che «l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti».
In questo passaggio del testo si voleva precisare in modo chiaro che non avrebbe dovuto verificarsi confusione alcuna tra le competenze della famiglia e della Chiesa e quelle della scuola – che è di tutti – e, di conseguenza, che non si voleva proporre un autentico insegnamento religioso confessionale. Da parte sua, lo Stato riconosceva agli studenti valdesi il diritto di «non avvalersi» dell’insegnamento religioso.
L’art. 10 dell’intesa è rivolto invece verso l’esterno, in un’ottica di disponibilità verso la scuola di Stato, ma in uno spirito di laicità:
«La Repubblica italiana, allo scopo di garantire che la scuola pubblica sia centro di promozione culturale, sociale e civile aperto all’apporto di tutte le componenti della società, assicura alle Chiese rappresentate dalla Tavola valdese il diritto di rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni. Le modalità sono concordate con gli organi previsti dall’ordinamento scolastico. Gli oneri finanziari sono a carico degli organi ecclesiastici competenti».
Queste indicazioni di disponibilità culturale – che qualcuno interpretò addirittura come una ‘larvata forma di miniconcordato’ (sic!) – furono messe fuorigioco nel momento stesso in cui s’introdussero le ‘attività alternative’ all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, di cui però nel testo dell’intesa non si faceva parola, e che furono escogitate solo in una fase successiva per «aggirare le prescrizioni» dell’accordo già stipulato59. Il giurista valdese Aldo Ribet ha ricordato in proposito che:
«lo studio del fatto religioso nei suoi vari aspetti e nelle sue implicazioni è talmente importante nella formazione dei giovani da dover trovare ingresso nella scuola pubblica. Esso non può, peraltro, avere carattere confessionale, né costituire monopolio di una confessione […]. La scuola pubblica deve aprirsi, sotto il profilo culturale, all’apporto del maggior numero possibile delle componenti della società, ai fini di una informazione ampia che consenta e favorisca il dialogo ed il confronto»60.
Bisogna riconoscere, in ogni caso, che neppure i valdesi – i primi a concludere l’intesa con lo Stato, in quella situazione – avevano idee ben chiare su ‘come’ affrontare il problema dell’insegnamento religioso nella scuola di Stato, essendo sempre stati costretti a organizzare la loro ‘difesa’ di fronte alla religione di Stato61. Quel che potevano manifestare apertamente era però la loro chiara posizione a favore di una scuola laica, in cui il discorso religioso non poteva essere concepito in termini confessionali62.
Più complesso fu l’iter dell’intesa dello Stato con le comunità ebraiche63, che erano separatiste da sempre e che avevano definito il proprio status giuridico per la prima volta con la legge del 30 ottobre 1930, dunque in piena epoca fascista. Esso andava ormai rivisto e aggiornato. L’intesa, iniziata nel 1977, si concluse solo dieci anni dopo, il 27 febbraio 1987. I rappresentanti dell’Unione israelitica cercarono di evitare gli equivoci sorti dopo l’intesa con i valdesi, soprattutto nei confronti del cosiddetto insegnamento diffuso e degli orari discriminanti. All’atto della firma dell’intesa venne inserita, nel relativo verbale, una sorta di ‘interpretazione autentica’ del punto di vista ebraico: segno di un’evidente ambiguità presente nel testo stesso dell’accordo64.
Una battaglia aperta
Il 14 dicembre 1985 fu apposta dunque la firma all’intesa sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. Il ministero italiano della Pubblica Istruzione era rappresentato dalla democristiana Franca Falcucci, la Cei dal cardinal Ugo Poletti. L’accordo comporta quattro punti essenziali: a) programmi di insegnamento; b) modalità di organizzazione di tale insegnamento; c) criteri di scelta dei libri di testo; d) profili di qualificazione professionale degli insegnanti di religione. Il contenuto di questo accordo suscitò delle forti reazioni sia da parte laica che da parte del consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e del consiglio dell’Unione delle comunità israelitiche. Le critiche riguardavano in modo particolare la collocazione delle ore di insegnamento riservate alla religione nell’orario scolastico complessivo, la presenza dell’insegnante di religione nel consiglio di classe e della voce ‘religione’ nella pagella scolastica, nonché il fatto che la scelta di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento religioso dovesse essere espressa all’inizio di ogni ciclo scolastico e avere effetto automatico per tutti gli anni successivi al primo. Infine, si deplorava il fatto che il testo dell’intesa non fosse stato posto in discussione in Parlamento65. Tutte questioni che provocarono reazioni a catena sull’interpretazione corretta delle conseguenti norme applicative.
La battaglia in difesa della laicità della scuola resta dunque aperta, soprattutto dopo che la legge sulla libertà religiosa – che sembrava ormai pronta per l’approvazione, dopo aver superato lunghe discussioni parlamentari – è stata improvvisamente bloccata in seguito all’intervento del presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco, che ha rivendicato uno statuto particolare per la confessione cattolica.
Gli studenti e le famiglie che hanno scelto di ‘non avvalersi’ dell’insegnamento della religione cattolica si sono trovati, in molti casi, di fronte a un vuoto di assunzione di responsabilità da parte della scuola. L’intesa Falcucci-Poletti, di cui s’è appena detto, ha rimesso in discussione il principio della pari dignità religiosa e la laicità dello Stato nella prassi scolastica. Certo, nel testo dell’intesa erano state apportate alcune novità di rilievo: chi preferiva non avvalersi dell’insegnamento religioso non aveva ora più bisogno dell’esonero, essendo diventato l’insegnamento della religione cattolica facoltativo. Per contro, l’insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare veniva incrementato di una seconda ora settimanale e anche introdotto nella scuola materna statale, in contrasto con la legge del 1969, che aveva escluso un insegnamento confessionale in tali istituti per ragioni sia pedagogiche che sociali.
La battaglia per la difesa della laicità66 e per la non discriminazione degli studenti che decidevano di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica venne a toccare alcuni punti nevralgici dell’applicazione delle norme messe in atto dall’accordo Falcucci-Poletti, e le successive normative hanno provocato forti reazioni nell’opinione pubblica, negli ambienti laici come in quelli evangelici, nella comunità ebraica e non da ultimo fra molti cattolici democratici. In particolare, l’obbligo della scelta dell’ora alternativa – a cui la scuola non ha mai dato un profilo dignitoso – ha provocato numerosi ricorsi, prese di posizione dei tribunali amministrativi regionali e alcune sentenze della stessa Corte costituzionale67.
Tutto ciò non ha però impedito ai vari ministri della Pubblica Istruzione via via succedutisi di proseguire sulla strada di una ‘ri-confessionalizzazione’ dello Stato: durante il governo di Romano Prodi come pure durante i governi guidati da Silvio Berlusconi. Nel primo caso, a fine legislatura, con la circolare 22 aprile 2008 n. 45, il ministro uscente della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni ha dettato precise disposizioni circa le «Indicazioni per il curricolo [per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione] relativamente all’insegnamento della religione cattolica». Il testo ministeriale ha accolto, senza obiettare, la richiesta della presidenza della Cei di ‘armonizzare’ la religione cattolica alle altre materie d’insegnamento – proposta che porta con sé l’idea che l’intera attività educativa della scuola pubblica debba essere permeata dalla dottrina cattolica. Ed è stato ancora il ministro Fioroni a istituire, a vantaggio degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, un apposito ‘credito scolastico’ ai fini della media dei voti di profitto da calcolare in vista degli esami di maturità: cosa che invece è solo teoricamente possibile per chi sceglie una materia alternativa, che la scuola non garantisce68. Il ministro Mariastella Gelmini non si è discostata dalla politica del suo predecessore, e ormai si ha la netta impressione di non esser poi così lontani dallo spirito dell’art. 36 del Concordato del 1929, che considera la dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica». Almeno, questo lascia intendere l’intervento tenuto dal cardinal Bagnasco durante l’assemblea degli insegnanti di religione a Roma (23-25 aprile 2009) in presenza del ministro Gelmini.
Dalla ‘provincia italiana’ all’Europa
In quanto membro fondatore dell’Unione Europea, l’Italia è in relazione permanente con quanto avviene nella programmazione comunitaria in ambito politico, economico, culturale. Dal Consiglio d’Europa, come dagli altri organismi istituzionali, giungono delle direttive di orientamento che ogni paese è invitato a rispettare e a realizzare secondo lo spirito di libertà democratica e costituzionale orientato alla creazione d’una comune cittadinanza europea69. È per l’appunto in quest’orizzonte che si colloca la problematica religiosa in tutte le sue articolazioni. D’altra parte, l’Italia è anche il paese europeo che ospita nel suo territorio lo Stato del Vaticano e, in conseguenza di ciò, non appena si parla di religione, il discorso tende inevitabilmente a complicarsi per la presenza di ‘uno Stato nello Stato’. In Italia si ritiene ancora possibile salvare quel che resta – lo zoccolo duro – del cattolicesimo tradizionale e conservatore, capace di resistere alla secolarizzazione e al liberalismo, al pluralismo della modernità avanzata, al relativismo dei valori, più che in altri paesi. Una difesa a oltranza dei valori cattolici considerati ‘non negoziabili’ che si scontra con la realtà del pluralismo religioso e culturale del paese, e che viola, al tempo stesso, la pari dignità di un confronto culturale e religioso con le altre Chiese cristiane e con le altre religioni.
Il Consiglio d’Europa è intervenuto più volte per tutelare la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Ricordo soltanto alcune fra le molte raccomandazioni indirizzate ai paesi membri.
Nella raccomandazione n. 1178 del 1992, concernente le coordinate generali dell’educazione, si afferma fra l’altro che essa «dovrebbe comprende un’informazione concreta e obiettiva sulle religioni maggiori e le loro principali varianti, sui principi di studio comparativo delle religioni e sull’etica e i diritti personali e sociali». E una successiva raccomandazione – la n. 1202 del 1993 – invita gli Stati a promuovere «una presentazione differenziata e accurata delle religioni nei manuali (specie nei testi di storia) e nella didattica al fine di migliorare e approfondire la conoscenza delle diverse religioni». Così pure, nelle ultime battute di un seminario tenutosi a Lovanio nel 2002, sempre sotto l’egida del Consiglio d’Europa, si affermava (al punto n. 5 del comunicato conclusivo):
«la costruzione dell’Europa di domani esige lo sviluppo di una cultura politica che superi gli antagonismi. Di qui la necessità di identificare fondamenti etici dei principi che regolano la vita delle nostre società. Le religioni, matrici culturali e comuni di questi fondamenti e di questi principi, hanno un ruolo importante da svolgere in questo processo. Anche perché democrazia e religione hanno in comune l’idea del riconoscimento e del rispetto dell’altro».
Né può essere dimenticata l’importante raccomandazione n. 1720, approvata nel 2005 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sul tema ‘scuola e educazione’ (v. in part. art. 4, commi 1-6). Sempre il Consiglio d’Europa ha pubblicato, il 7 maggio 2008, un ‘libro bianco’ sul tema del dialogo interculturale, che ha come titolo Vivere insieme nell’uguale dignità. In questo documento si afferma fra l’altro che: «[…] la sfida di una vita insieme in una società di diversi può essere affrontata soltanto se possiamo vivere insieme con pari dignità» (§ 1.3, 17). I curatori del lavoro dedicano un’attenzione particolare alla dimensione religiosa. Essi riconoscono che l’eredità culturale dell’Europa risulta articolata in una ricca gamma di concezioni della vita, religiose e secolari: il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam hanno segnato in modo profondo il continente europeo. Di conseguenza
«la pratica religiosa rappresenta una componente della vita umana contemporanea e perciò non può né deve essere esclusa dalla sfera d’interesse delle autorità pubbliche, anche se lo Stato deve preservare il proprio ruolo di garante neutro ed imparziale per l’esercizio delle diverse religioni, fedi e credenze».
E nella scia del libro bianco di Strasburgo, il comitato formato dai 46 ministri degli Affari esteri degli Stati membri aderenti al Consiglio d’Europa ha diramato, nel dicembre 2008, un’importante raccomandazione destinata ai corrispondenti ministri dell’Istruzione, perché provvedano «a far prendere nella debita considerazione» nei rispettivi sistemi educativi «la dimensione delle religioni e delle convinzioni non religiose nella educazione interculturale, al fine di rinforzare i diritti dell’uomo, la cittadinanza democratica e la partecipazione» (Annesso alla raccomandazione, punto n. 1).
Un altro importante documento – le Linee guida di Toledo70: quasi ignorate, purtroppo, nel contesto italiano – ha poi sottolineato un aspetto di grande attualità ovvero che esiste oggi un «crescente consenso» degli educatori sul fatto che la conoscenza delle religioni e delle credenze religiose costituisca di per se stesso un elemento positivo: un elemento di primaria importanza per la qualità dell’educazione, in grado oltre tutto di promuovere la formazione di una cittadinanza democratica e di sollecitare valori fondamentali quali anzitutto il rispetto reciproco e appunto la libertà religiosa. Sulla base di questa convinzione, nel documento si afferma:
«Mentre le decisioni concernenti le questioni di fede devono essere protette come scelte personali, nessun sistema educativo può permettersi di ignorare il ruolo delle religioni e delle credenze nella storia e nella cultura. L’ignoranza su questi problemi può alimentare l’intolleranza e la discriminazione e può portare alla formazione di stereotipi negativi»71.
Nell’ottica del documento di Toledo, la prospettiva e la finalità dell’insegnamento religioso, pur senza interferire in alcun modo nell’autonoma gestione dei modelli giuridici e didattici in atto nelle diverse nazioni, sono di
« […] capire che l’insegnamento delle religioni e delle credenze non ha un orientamento devozionale e ‘denominazionale’. [Esso] si sforza di trasmettere agli studenti la sensibilità per le religioni e le credenze, non di fare pressioni perché lo studente ne accetti una in particolare; sostiene lo studio ma non la pratica delle religioni e delle credenze; può esporre agli studenti la diversità dei punti di vista religiosi e non religiosi, ma non impone alcun punto di vista particolare; educa alla conoscenza delle religioni e delle credenze senza promuoverne o denigrarne alcuna; informa gli studenti sulla varietà delle religioni e delle credenze ma non cerca di conformare o di convertire gli studenti a una particolare religione o credenza»72.
Il documento di Toledo, inoltre, riprende – sottolineandone la centralità – il problema della discriminazione: mai scongiurata una volta e per tutte. In questo senso esso richiama le risoluzioni adottate da una serie di assemblee e organizzazioni internazionali, pronunciatesi a più riprese sul tema della difesa dei diritti umani in relazione alle religioni e al loro insegnamento nell’ambito della scuola. In particolare, esso richiama all’attenzione il Documento di Vienna (1989), in cui si invita ad assumere tutte le misure necessarie per «prevenire ed eliminare le discriminazioni nei confronti degli individui o delle comunità a motivo della religione o del credo […] e di assicurare un’effettiva uguaglianza tra credenti e non credenti»73. E con ciò si accosta un ulteriore problema, che raramente viene affrontato con la necessaria attenzione e sensibilità: normalmente, ci si preoccupa soltanto di chi dichiara un’appartenenza religiosa senza però considerare seriamente la situazione di chi, pur non professando un particolare credo religioso, avverte comunque l’esigenza di ricevere un’istruzione adeguata in merito alla cultura delle religioni: perché in mezzo ad esse vive. A questo riguardo può essere utile ricordare le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 1993 sentenziava:
«[…] la libertà di pensiero, di coscienza e di religione è uno degli elementi costitutivi di una società democratica […]. E nella sua dimensione religiosa costituisce uno degli elementi più vitali per la formazione dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita. Ma è anche una preziosa risorsa per i non credenti, per gli agnostici, per gli scettici e gli indifferenti. Il pluralismo, indissociabile da una società democratica, acquisito nei secoli a caro prezzo, dipende da esso»74.
Il sistema italiano dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, sordo a ogni rinnovamento, rischia insomma di creare, nella scuola di Stato, una sorta di ghetto religioso per coloro che scelgono di avvalersi di tale insegnamento. Questo accade in evidente contraddizione con le buone intenzioni della Charta Oecumenica, sottoscritta ufficialmente a Strasburgo nell’aprile 2001 anche dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Basta del resto dare un’occhiata a quanto è successo nei paesi europei in seguito alla caduta del muro di Berlino (1989) e alla fine dei regimi comunisti, per constatare il significativo cambiamento intervenuto in una pluralità di contesti nell’organizzazione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche75. Cambiamenti e sperimentazioni hanno coinvolto direttamente anche la Chiesa cattolica, la quale, nei paesi privi di un concordato, difficilmente s’è opposta all’ipotesi di un insegnamento religioso non confessionale obbligatorio per tutti. Si pensi, per citare un esempio a noi vicino, alla prassi entrata in vigore da alcuni anni in tutte le scuole del cantone di Zurigo, e che è ora in via di sperimentazione nei cantoni del Ticino e dei Grigioni. In generale, in tutti i paesi di cultura protestante, dove un tempo il luteranesimo era religione di Stato, l’insegnamento religioso confessionale è stato definitivamente abbandonato.
In questi ultimi anni, in sostanza, ci si è resi conto che gli accordi Falcucci-Poletti, come anche le intese firmate dalle comunità religiose non cattoliche con lo Stato italiano, non rispondono assolutamente ai bisogni della scuola moderna, che nel frattempo si è venuta modificando, specie per effetto del processo di immigrazione e dei cambiamenti sociali e culturali che hanno interessato il nostro paese. La prospettiva in cui si situa il discorso religioso è oggi globale, guarda cioè al crescente pluralismo religioso e culturale. Di conseguenza, solo un insegnamento religioso comune a tutti, svolto sotto la diretta responsabilità della scuola76, potrà formare le future generazioni alla comune cittadinanza europea, arginando al tempo stesso la gramigna del razzismo, della xenofobia e dell’antisemitismo, che ancora trova qua e là, in Italia come nel resto dell’Europa, pericolosi ambienti d’incubazione.
Perché insegnare religione a scuola?
Il fatto che le religioni, e in particolare la storia delle religioni, trovino un proprio spazio nella formazione scolastica non è più messo in discussione neppure in un paese laico come la Francia, che, in seguito al noto rapporto Débray (2002), ha avviato un processo di inculturazione religiosa trasversale agli insegnamenti scolastici. La religione è entrata nello spazio pubblico e rivendica pertanto diritto di conoscenza e di studio. Ciò che invece continua a rappresentare un problema piuttosto serio è la modalità di questa presenza nella scuola pubblica.
Ci si può domandare, oggi, se l’affermazione di Ferdinand Buisson – uno dei primi teorici del concetto di ‘laicità’ nonché braccio destro di Jules Ferry, celebre ministro dell’Istruzione negli anni della Terza Repubblica francese – secondo cui «la grande idea, la nozione fondamentale dello Stato laico, vale a dire la delimitazione profonda tra il temporale e lo spirituale, è entrata nei nostri costumi in modo da non uscirne più», sia ancora valida o se essa non sia invece da rimettere in discussione. È precisamente a questo livello che si colloca il problema di una distinzione dei compiti e dei ruoli delle Chiese e delle comunità religiose da un lato e della scuola di Stato dall’altro. Distinzione di compiti chiamata a evitare i due principali scogli che nel passato hanno alimentato la conflittualità: la tendenza a stabilire una sorta di ‘monopolizzazione’ del religioso manifestata dalla Chiesa (di maggioranza) e insieme l’idea che la religione non debba trovare spazio alcuno nell’insegnamento curricolare nella scuola di Stato. Nella situazione in cui oggi viviamo, l’insegnamento del fatto religioso nella scuola sembra essere ancora più necessario che in passato, quando il termine ‘religione’ significava essenzialmente ‘istruzione nella conoscenza della propria confessione religiosa’. Ciò che trovava concreta realizzazione nell’ambito della propria comunità di fede, e che le intese concluse dagli evangelici italiani con lo Stato prevedono (v. sopra: art. 9 dell’intesa valdese). In ambito cattolico è la catechesi a dover svolgere questo compito. Il compito della scuola è però un altro, come del resto conferma lo stesso magistero cattolico, quando sostiene che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole non intende affatto proporsi nei termini di una ‘catechesi’. L’insegnamento di religione dispensato nelle scuole dovrebbe dunque occuparsi di cultura religiosa, non di altro. Ma qui sta anche il limite, anzi: la contraddizione intrinseca all’attuale sistema. Infatti, se l’insegnamento della religione non è catechesi, è possibile ridurre la cultura religiosa italiana alla cultura cattolica? Inoltre, non hanno una dignità propria le religioni e le confessioni che certo non hanno una matrice cattolico-romana ma che, pur essendo minoritarie, esistono in Italia e hanno radici storiche e culturali di lunga data? Infine, per quanto tempo potrà ancora essere sottovalutata – anche nell’ambito dell’insegnamento religioso nelle scuole – la crescita esponenziale dell’islam nel nostro paese? Ci si accorgerà che la soluzione trovata nel 1984, con la distinzione fra ‘coloro che intendono avvalersi’ e ‘coloro che intendono non avvalersi’ dell’insegnamento della religione è essa stessa testimonianza di una cultura religiosa sostanzialmente parziale, il cui esito ultimo è di mortificare docenti e discenti.
Per contro, un insegnamento di religione non confessionale rivolto a tutti i ragazzi, a cominciare dagli allievi della scuola elementare, con programmi ‘leggeri’, alla portata del loro vissuto, che sappia guardare alla realtà quotidiana (trattando per esempio il significato delle feste e dei riti che si vivono e che si praticano in famiglia e con i compagni), restituirebbe non soltanto un volto umano alla pratica religiosa ma introdurrebbe anche un forte elemento di pacificazione dei conflitti religiosi che permeano la nostra convivenza, e che hanno la tendenza a radicalizzarsi nel corso dell’adolescenza. Peraltro, ciò non ha proprio nulla a che fare con il timore di smarrire la propria identità religiosa. Affrontare in modo critico il fatto religioso nelle scuole superiori, in una prospettiva sia storica e filosofica che etica, permetterebbe poi quel confronto di idee e di valori capaci di contribuire alla formazione della propria identità (si noti, per inciso, che nelle scuole superiori di molte città del Centro-Nord il 50% e più degli studenti abbandona l’aula durante l’ora di religione!). Questa prospettiva è forse la sola capace di disciplinare e far maturare le convinzioni di ogni singolo individuo, formandolo al rispetto dei punti di vista altrui, delle idee altrui così come delle altrui visioni della vita in un comune percorso di cittadinanza, nella cornice del quale le religioni – che giustamente rivendicano un loro proprio spazio pubblico – sono messe nelle condizioni di rispettare lo spazio che è invece di tutti: il luogo privilegiato in cui la civiltà e la cultura si costruiscono, mattone dopo mattone, in cui si esercita la democrazia, in cui infine l’idea del predominio di una religione sull’altra è stabilmente abbandonata. Questo è lo spazio in cui, nel comune confronto – fondato a sua volta su una premessa imprescindibile: la conoscenza reciproca – si supera, di fatto, l’idea che il ‘diverso’ rappresenti una minaccia per ‘la mia identità’. È lo spazio che permette di evitare la confusione o meglio l’identificazione della mia appartenenza religiosa con la mia appartenenza nazionale e dunque con le svariate forme di ciò che può essere riassunto sotto la categoria di ‘fondamentalismo etnocentrico’. Non da ultimo, questa prospettiva è altresì rispettosa di quelle famiglie che non intendono impartire alcun credo religioso ai loro figli. La conoscenza del fatto religioso è altra cosa di un credo. Non essendo ‘catechesi’ ma ‘cultura religiosa’, essa è conoscenza di una realtà che anche coloro che non professano alcun credo incontrano nella società in cui vivono, e che giornalmente sollecita al confronto critico.
Quale profilo per l’insegnamento della religione nella scuola?
Tra scuola e comunità religiose deve dunque esistere una relazione costruttiva e non conflittuale. Pur nella diversità dei propri compiti specifici, esse devono infatti adempiere a una medesima missione: contribuire alla formazione del cittadino. Ogni essere umano è chiamato a crescere e a vivere in una comunità fondata sulla democrazia, sulla libertà, sul rispetto reciproco. È appunto in questi riferimenti fondamentali che la scuola ritrova il cuore della propria vocazione. Per realizzare pienamente questo progetto educativo si pone giustamente l’accento sul principio dell’‘autonomia scolastica’ – un’autonomia che deve potersi esprimere a più livelli. Certamente, dire autonomia scolastica significa richiamare l’autonomia istituzionale e organizzativa della scuola, libera da ogni vincolo clericale e ideologico: non può esserci spazio per l’idea che una confessione religiosa, per il solo fatto di essere maggioritaria, imponga a tutti indistintamente la propria legge. Significa però anche, e anzitutto, focalizzare l’attenzione sull’‘autonomia epistemologica, pedagogica e didattica’ della scuola in piena conformità al suo statuto. L’obiettivo dell’insegnamento di religione curricolare è di trasmettere ai ragazzi una comprensione scientifica e critica del fatto religioso nella complessità delle sue espressioni, formare i ragazzi a una «intelligenza della religione»77, perché anche questo insegnamento è parziale e non può proporsi – per riprendere l’espressione gentiliana – come «coronamento» del sapere scolastico. Rivendicare l’‘autonomia pedagogica’ dell’insegnamento del fatto religioso nella scuola di Stato significa dunque riconoscere il suo ‘profilo di laicità’ o, detto altrimenti, pensare a una scuola che non si pone più come ancilla ecclesiae, in quanto rivendica l’autonomia del proprio statuto epistemologico e la propria responsabilità, che è verso tutti, senza discriminazione alcuna.
Per questo motivo tale insegnamento non può che essere curricolare per tutti gli allievi, indipendentemente dalla loro appartenenza o non appartenenza a una comunità religiosa particolare. Soltanto in quest’orizzonte di laicità riconosciuta e praticata è possibile parlare, con la necessaria cautela, e soltanto per chi professa un dato credo religioso, di ‘complementarietà’ tra l’insegnamento della religione nella scuola e la catechesi delle Chiese o comunità religiose, perché la scuola è chiamata, in forza del suo specifico statuto, a offrire una visione del fatto religioso come fatto di cultura, e non altro.
La traccia di un curricolo didattico di educazione religiosa nella scuola, in questa nuova prospettiva, è stata più volte e da più parti ipotizzata. Ne riprendo un esempio a titolo esemplificativo: a) ‘iniziazione’ all’‘alfabeto simbolico’ e alla ‘grammatica’ del linguaggio religioso, partendo induttivamente dalle espressioni della religiosità locale per allargare successivamente l’orizzonte alla più ampia morfologia del comportamento religioso (scuola primaria); b) ‘decodificazione’ dei segni e dei valori esistenziali veicolati dall’universale esperienza religiosa della persona, partendo dal contesto italiano per allargarsi all’Europa e al mondo (scuola secondaria di primo grado); c) come terzo segmento in progressione: ‘approfondita capacità di analisi storico-critica’, comparativa e antropologico-etica in riferimento, privilegiato ma non esclusivo, alla dimensione culturale, politica e ai valori espressi dalle tradizioni cristiane e dalle fedi monoteistiche (scuola secondaria di secondo grado)78. In quest’orizzonte la scuola è chiamata a farsi promotrice di una nuova visione del problema religioso nella sua globalità. Il confessionalismo non sollecita all’integrazione, al contrario, esso è fonte di discriminazione, accentua ulteriormente le divisioni, non favorisce la conoscenza e l’incontro fra soggetti ‘diversi’ fra loro.
I limiti della legislazione italiana del 1984, più volte evocati in questa sede, sono davanti agli occhi di tutti. Il pedagogista Lino Prenna ricordava, già nel 1997, che l’art. 9.2 dell’accordo fra lo Stato e la Cei – là dove si afferma che la Repubblica italiana riconosce «il valore della cultura religiosa» in senso globale – non propone alcuna identificazione della cultura religiosa con la tradizione del cattolicesimo italiano (a cui si accenna nei successivi articoli dell’accordo). Dovrebbe dunque rientrare fra le normali responsabilità dello Stato «l’attivazione autonoma di un corso di cultura religiosa a carattere storico e critico. Un tale insegnamento, a eventuale profilo interreligioso, risponderebbe anche alla geografia multiculturale e multireligiosa della nostra società»79. L’art. 9.2 del nuovo Concordato porta in sé la premessa per ipotizzare un duplice insegnamento, come suggeriva anche la mozione sottoscritta da un gruppo di esperti in occasione della presentazione in Italia deiPrincipi guida di Toledo, avvenuta all’Università di Perugia il 12 dicembre 2008: «[…] istituire per [coloro che non si avvalgono] dei corsi [di religione], l’ora alternativa come vera materia scolastica, attinente all’area sociale-etico-religiosa […]»80. La prospettiva di un insegnamento religioso scolastico ‘per tutti gli studenti’ non può essere abbandonata. Essa deve essere anzi approfondita, nel dialogo e nel riconoscimento di una pari dignità fra le diverse religioni81.
Note
1 Come testimonia per esempio lo scritto sul «dovere di mandare i bambini a scuola», inviato dal riformatore a Lazarus Spengler, all’epoca sindaco della città di Norimberga: D. Martin Luthers Werke, Weimarer Ausgabe (1883-1929), Band 30/II, Schriften, 1529-1530, pp. 517-588.
2 E. Genre, Cittadini e discepoli. Itinerari di catechesi, Torino 2000, pp. 36 segg.
3 E. Butturini, La religione a scuola. Dall’Unità ad oggi, Brescia 1987; N. Pagano,Religione e libertà nella scuola. L’insegnamento della religione cattolica dallo Statuto albertino ai giorni nostri, Torino 1990.
4 A. Armand Hugon, Storia dei valdesi, II, Dall’adesione alla Riforma all’Emancipazione (1532-1848), Torino 1974, p. 300.
5 F. Tagliacozzo, B. Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, Firenze 1993, p. 59; più in particolare G. Long, Le confessioni religiose “diverse dalla cattolica”. Ordinamenti interni e rapporti con lo Stato, Bologna 1991, pp. 139 segg.
6 V. Vinay, Storia dei valdesi, III, Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Torino 1980, p. 188.
7 Cit. in A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia. Dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino 1965, p. 38.
8 E. Buttutrini, La religione a scuola, cit., p. 11. A questo proposito Jemolo ricorda queste significative parole di Bon Compagni: «Tutti i popoli cattolici che entrarono per le vie della libertà, si guastarono col pontefice, poi, a fatti compiuti, si riconciliarono: non potrà a meno di riconciliarsi un giorno anche l’Italia. Ma c’è un’osservazione da fare: queste conciliazioni non si fecero né dagli stessi uomini né dagli stessi partiti, con cui c’era stato contrasto. Per lo più tra la rottura e la conciliazione, ci fu una specie di reazione, per cui vennero allo Stato degli uomini meno teneri di libertà. Anch’io sono sicuro che la conciliazione dell’Italia con la Chiesa si farà: mi preme che si faccia da coloro che non sono disposti ad abbandonare alcuno de’ principi liberali», A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 39.
9 N. Pagano, Religione e libertà nella scuola, cit., p. 18.
10 Cfr. R. Fornaca, La politica scolastica della Chiesa, Roma 2000, p. 21.
11 Ibidem, p. 20. Il regolamento 15 settembre 1860 n. 4336 sull’istruzione elementare, applicativo della legge Casati, così prescrive all’art. 2: «Le parti del catechismo che dovranno studiarsi in ciascuna classe saranno determinate, secondo le varie diocesi del Regno, dal Consiglio provinciale sopra le scuole avutane la proposta del r[egio] ispettore, il quale consulterà a questo fine gli ispettori di circondario e i direttori spirituali dei ginnasi e delle scuole tecniche di provincia. Tale distribuzione dovrà essere fatta di guisa che in due o tre anni i fanciulli abbiano agio di studiare e imparare bene le parti più importanti della dottrina cristiana. Sono dispensati dallo studio delle materie religiose, accennati nei programmi delle scuole elementari, i fanciulli che non professano il culto cattolico». L’art. 140 dello stesso regolamento annovera poi, fra gli «oggetti» di cui la scuola è tenuta a fornirsi, anche il crocifisso.
12 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 12.
13 Ibidem, p. 17; N. Pagano, Religione e libertà nella scuola, cit., pp. 25-26. Jemolo fa notare che, pur in mezzo a una situazione assai caotica, caratterizzata dalla produzione di decreti e controdecreti sul tema dell’insegnamento della religione nella scuola, il periodo che va dal 1850 al 1875, soprattutto gli anni compresi fra l’unificazione del regno e la legge delle guarentigie, fu una vera «fucina d’idee intorno ai rapporti tra religione e politica, cattolicesimo e libertà, Chiesa e Stato, officina dove si foggiavano sistemi sulle relazioni tra i due poteri», A.C. Jemolo,Chiesa e Stato in Italia, cit., pp. 32-33.
14 Ibidem.
15 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 16.
16 Mia la traduzione dall’originale francese.
17 B. Ferrari, La soppressione delle facoltà di teologia nelle università di stato in Italia, Brescia 1978, pp. 97 segg.
18 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 15.
19 Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, Napoli 1956, Torino 19983.
20 Cfr. Camera dei Deputati, Evangelici in Parlamento (1850-1982), Roma 1999. Sulla significativa figura di Bonaventura Mazzarella cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., pp. 338 segg.
21 N. Pagano, Religione e libertà nella scuola, cit., p. 23.
22 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 34.
23 Ibidem, p. 40.
24N. pagano, Religione e libertà nella scuola, cit., p. 30.
25 Cfr. Camera dei Deputati, Evangelici in Parlamento, cit., pp. 306 segg.
26 Ibidem, p. 308.
27 Il settimanale evangelico «Conscientia», edito dalla Chiesa battista di Roma a partire dal 1922 (sarà soppresso dal fascismo nel 1927), seguì con grande attenzione le vicende politiche e religiose del paese con delle puntuali rubriche dedicate in particolare alla questione dell’insegnamento religioso nella scuola.
28 F. Momigliano, Gentile e l’istruzione religiosa, «Conscientia», 2, 1923, 7. Momigliano riconosce in Gentile «un pensatore di razza». Per questo afferma: «abbiamo fiducia nelle sue iniziative». Tuttavia si domanda anche: «Ai concorsi di maestro elementare saranno ammessi soltanto i candidati che dichiarino di impartire l’insegnamento religioso? Se sì, l’insegnamento della religione dominante? E se il concorrente è protestante o ebreo? L’essere cattolico è motivo sufficiente per l’esclusione dal concorso?». Giuseppe Prezzolini assunse una posizione più radicale: «L’insegnamento religioso sotto forma cattolica romana apostolica rappresenterebbe uno sguardo indietro […] un provincialismo […]. Insegnamento religioso sì; ma non insegnamento cattolico. Uno Stato che ammettesse l’insegnamento cattolico, non sarebbe più Stato moderno ma Chiesa», G. Prezzolini, «Conscientia», 2, 1923, 9.
29 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 72.
30 Ibidem, p. 73.
31 N. Pagano, Religione e libertà nella scuola, cit., p. 40.
32 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 77.
33 J.-P. Viallet, La chiesa valdese di fronte allo stato fascista, Torino 1985, p. 102. Curiosa, per molti versi, la ‘battaglia’ concernente il crocifisso, che la riforma Gentile reintrodusse nella scuola e negli ospedali. Il sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione Dario Lupi emanò, a fine 1922, una circolare che imponeva ai Consigli comunali di ricollocare il crocifisso nelle scuole elementari da cui era stato rimosso. Che ciò dovesse avvenire anche nelle Valli Valdesi suonava come vera e propria provocazione, come il moderatore Bartolomeo Léger non mancò di ricordare nel suo memorandum al ministro. Ma i problemi sollevati da Léger non trovarono risposta, cosa che portò il moderatore a far visita al più stretto collaboratore di Gentile, Giuseppe Lombardo Radice, che lo accolse cordialmente e che si dichiarò pronto a concedere l’autorizzazione a sostituire il crocifisso con un quadro religioso. Dopo diversi colloqui si trovò l’accordo: si sarebbe potuto appendere ai muri scolastici un ‘Gesù benedicente i bambini’ al posto del crocifisso. In verità, la cosa non fu così semplice, anche perché occorreva l’autorizzazione delle Belle Arti. Inoltre, quando si scoprì che l’autore dell’oleografia prescelta a tale scopo era di nazionalità tedesca si rischiò di mandare a monte l’accordo. Alla fine, ci si accontentò di far cancellare la firma, cfr. J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., pp.103-104.
34 L’apertura alle voci libere del cattolicesimo e del modernismo traspaiono da ogni numero della rivista. In particolare va segnalato il contributo offerto da Romolo Murri, esponente di punta del movimento democratico-cristiano, poi scomunicato per essere stato eletto deputato (1909). Cfr. R. Murri, La rivoluzione religiosa e lo Stato moderno, «Conscientia», 1, 1922, 20; Id., Chiesa e Stato in Italia, ibidem, 1, 1922, 33; Id., Una delusione dei cattolici, ibidem, 1, 1922, 43.
35 Cfr. per esempio M. Rossi, La religione nel programma Gentile per le scuole medie, «Bylichnis», 18, 1924, 5.
36 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 100-101.
37 A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 240.
38 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 101.
39 J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., pp. 131 segg. Alla formulazione del testo partecipò Mario Piacentini, valdese, del Ministero di Grazia e Giustizia. Cfr. in proposito anche G. Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Torino 2007.
40 Cfr. J.-P. Viallet, La chiesa valdese, cit., passim; G. Rochat, Regime fascista e chiese evangeliche, Torino 1990.
41 G. Peyrot, Il problema dell’insegnamento della religione nelle pubbliche scuole elementari in relazione ai maestri ed agli alunni evangelici, Firenze 1955, p. 12.
42 In un articolo del 1932, «L’Osservatore romano», organo ufficiale della Santa Sede, osò definire la Chiesa valdese come una sorta di «associazione a delinquere», cfr. «La Luce», 25, 1932, 47.
43 Cfr. G. Cimbalo, Programmi scolastici della scuola pubblica elementare e materna, insegnamento della religione e profili di costituzionalità, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 29, 1979, 4, pp. 1081-1128.
44 L. Borghi, G. Perrorro, L. Rodelli, La scuola del Concordato, «Quaderni dell’associazione per la libertà religiosa in Italia (ALRI)», 4, 1971.
45 G. Long, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito sulla libertà religiosa nell’età della Costituente, Bologna 1990, p. 294.
46 Cit. in A. Mannucci, I protestanti e la religione a scuola. Analisi della stampa protestante dalla revisione del Concordato ad oggi, Firenze 1994, p. 214.
47 G. Long, Le confessioni religiose, cit.; E. Butturini, La religione a scuola, cit., pp. 139 segg.
48 P. Calamandrei, Contro l’inclusione dei Patti Lateranensi nella Costituzione, in Camera dei Deputati, Segretariato generale, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma 1970, pp. 513-520. Va ricordato che lo stesso Benedetto Croce votò contro, considerando il Concordato «uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico».
49 S. Lariccia, Individuo, gruppi, confessioni religiose nella Repubblica italiana laica e democratica, in Bioetica e laicità. Nuove dimensioni della persona, a cura di S. Rodotà, F. Rimoli, Roma 2009. Lariccia osserva che le minoranze religiose restano sotto un regime di «vergognosa mancanza di libertà» in quanto le disposizioni legislative emanate durante il ventennio fascista restano in vigore. Una situazione paradossale in cui, pur con una Costituzione «composta da disposizioni capaci di assicurare un’adeguata garanzia delle libertà democratiche relative al fattoreligioso, per circa un decennio dopo l’entrata in vigore della Costituzione, si assiste a una sistematica violazione delle norme poste a tutela delle libertà di religione»,ibidem, p. 226.
50 Proposte diverse furono elaborate dai governi Moro, Andreotti, Forlani, Cossiga e Spadolini, cfr. R. Fornaca, La politica scolastica della Chiesa, cit.
51 Cfr. Quali valori nella scuola di Stato, a cura di N. Galli, Brescia 1989.
52 Cfr. P. Scoppola, Un’improbabile religione nelle strettoie del Concordato e delle riforme scolastiche, «Religione e scuola», 12, 1985, 10; Assicurata ma facoltativa. La religione incompiuta nella scuola italiana, a cura di L. Prenna, Roma 1997, pp. 77 segg.
53 Cfr. per esempio Comunità cristiane di base, Concordato: perché contro, Roma 1976.
54 Cfr. La religione nella scuola. Norme e programmi, Roma 1979.
55 E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 222.
56 G.P. Meucci, Una politica per i giovani, «Bambino incompiuto: per una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza», 1, 1984, pp. 6-7, cit. in E. Butturini, La religione a scuola, cit., p. 228.
57 L. Basso, Muore la chiesa dei potenti, nasce la chiesa dei poveri, in Id., Scritti sul cristianesimo, Casale Monferrato 1983, pp. 268-277.
58 Cfr. G. Peyrot, Scuola pubblica e istituzioni ecclesiastiche nell’Intesa tra la Repubblica italiana e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, in G.M. Mei, G. Peyrot, L. Rodelli, et al., Scuola statale e istituzione ecclesiastica: separiamole, «Quaderni dell’Associazione per la libertà religiosa in Italia (ALRI)», 8, 1982.
59 G. Long, Le confessioni religiose, cit., p. 184.
60 A. Ribet, Per un’alternativa al Concordato. Testo commentato dell’Intesa tra Stato italiano e chiese rappresentate dalla Tavola Valdese. Testo della legge di approvazione n. 449/1984, Torino 1984, p. 91. In seguito all’intesa Falcucci-Poletti del 1985, il sinodo valdese tenne a ribadire «la propria convinzione che la scuola nel suo progetto culturale complessivo debba affrontare anche il fatto religioso e lo debba fare con la necessaria autonomia da ogni dogmatismo confessionale o ideologico», Atti sinodali, 58/1985.
61 Questa posizione di difesa-protesta nei confronti dell’insegnamento della religione cattolica è ben descritta da F. Giampiccoli, La religione nella scuola oggi: necessità dell’esenzione, Torino 1980.
62 A. Mannucci, I protestanti e la religione a scuola. Analisi della stampa protestante dalla revisione del Concordato ad oggi, Firenze 1994. L’opera offre un ampio panorama del dibattito interno al mondo valdese e protestante italiano. Le intese delle altre Chiese evangeliche, successive, per quanto concerne l’insegnamento religioso, pur con dei piccoli distinguo, seguirono il modello della prima intesa.
63 Per un approfondimento rinvio a G. Long, Le confessioni religiose, cit. In data 13 maggio 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato le bozze d’intesa con lo Stato di altre sei comunità religiose: ortodossi, mormoni, apostolici, buddisti, induisti, testimoni di Geova. Per la prima volta lo Stato si appresta dunque a firmare un’intesa con comunità religiose che non sono di tradizione giudaico-cristiana.
64 G. Long, Le confessioni religiose, cit., p. 156.
65 R. Fornaca, La politica scolastica della Chiesa, cit., pp. 158-159.
66 Nel 1999 è sorta, su iniziativa di un gruppo di insegnanti evangelici, l’Associazione 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista.
67 Oltre al testo di Andrea Mannucci già ricordato, cfr. Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di una ricerca, a cura di L. Palmisano, Gruppo Scuola e Laicità, Torino 2009.
68 Istituire un credito per una disciplina ‘facoltativa’ è, secondo la legislazione attuale, di dubbia costituzionalità. Il Consiglio di Stato (7 maggio 2010) ha annullato la delibera del T.A.R. del Lazio (n. 7076 del luglio 2009) che si era espresso contro il decreto Fioroni. Il ‘credito’ è oggettivamente discriminatorio dal momento che la scuola statale non organizza né finanzia, come dovrebbe per legge, le attività alternative per gli studenti ‘non avvalentisi’ dell’insegnamento della religione cattolica.
69 Cfr. F. Pajer, L’istruzione religiosa nelle politiche scolastiche europee, inPluralità delle culture e pluralismo religioso, San Giustino (Pg) 2006, pp. 187-204.
70 Office for Democratic Institutions and Human Rights (Odhir, Osce), Toledo guiding principles on teaching about religions and beliefs in public school, Warszawa 2007.
71 Ibidem, p. 18 (mia la traduzione dall’originale inglese).
72 Ibidem, p. 21 (idem per la traduzione).
73 Documento di Vienna, pagina 29, § 16.1 (capitolo II).
74 II/30.
75 Flavio Pajer ha illustrato in più pubblicazioni la situazione e continua a proporre aggiornamenti sull’argomento attraverso il suo bollettino informativo «ERE news (European Religious Education newsletter)».
76 Una precisa proposta ecumenica in tal senso è stata avanzata in E. Genre, F. Pajer, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Torino 2005, pp. 103 segg.
77 Assicurata ma facoltativa, a cura di L. Prenna, cit., p. 59.
78 La cultura assente. L’istruzione religiosa nella scuola. Voci di una proposta, a cura di F. Pajer, L. Prenna, Roma 2005, p. 10.
79 Assicurata ma facoltativa, a cura di L. Prenna, cit., pp. 78-79.
80 «EREnews», 6, 2008, 4, p. 16.
81 Ulteriori indicazioni bibliografiche si possono trovare in L’insegnamento della religione e profili di costituzionalità, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 4, 1979, pp. 1081-1128; Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, in St.It.Annali, IX, 1997; C.A. Ciampi, La libertà delle minoranze religiose, a cura di F.P. Casavola, G. Long, F. Margiotta Broglio, Bologna 2009; Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di una ricerca, a cura di L. Palmisano, Torino 2009.
Trattamento economico
I 25.694 insegnanti di religione (anno 2008), al pari degli altri insegnanti, sono retribuiti dallo Stato Italiano. Il costo annuo a carico dello Stato per la loro retribuzione nel 2008 è stato pari a circa 800 milioni di euro[5].
Statuto didattico
Lo statuto didattico dei docenti di religione cattolica è controverso.
Secondo il cosiddetto "Testo Unico" in materia di istruzione (Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297),
«
I docenti incaricati dell'insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell'insegnamento della religione cattolica »

(Decreto Legislativo 16 aprile 1994, art. 309.3)
Secondo tale disposizione sembra che il docente di IRC, al pari degli altri insegnanti, può determinare promozione e bocciatura degli avvalentisi (l'espressione ricorrente in ambito scolastico è che il docente "può alzare la mano" come gli altri docenti in sede di scrutinio).
Tuttavia altre normative sono meno chiare. In particolare l'intesa fra il Ministro della pubblica istruzione e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13 giugno 1990, convalidata dal DPR 23 giugno 1990, n. 202 recita al punto 2.7: "Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale".
Il termine 'espresso' è ambiguo: nello scrutinio il docente IRC deve 'esprimere' un giudizio che deve essere messo a verbale, ma non è chiaro se tale giudizio ha un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza oppure no.
La Sentenza n. 5 del 5 gennaio 1994 del TAR Puglia (sezione Lecce) ha stabilito che il giudizio degli insegnanti di religione cattolica iscritto a verbale doveva "mantenere un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza". Dunque è valido per determinare promozione o bocciatura. Sullo stesso tenore la Sentenza del TAR Toscana n. 1089 del 20 dicembre 1999, ribadita dallo stesso TAR per un diverso ricorso con la Sentenza n. 5528 del 3 novembre 2005.
Di parere opposto è la Sentenza n. 780 del 16 ottobre 1996 emessa dalla prima sezione del TAR del Piemonte, per la quale la valutazione espressa dall'insegnante di religione non rientra nel piano del computo effettivo dei voti.
Il ministro Fioroni, con l'ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 (online) sembrava aver chiarito definitivamente la questione concedendo all'IRC (e alle materie alternative) pari dignità rispetto alle altre materie: "I docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime" (8.13).
Tuttavia il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, accogliendo il ricorso di diverse persone ed associazioni laiche e non cattoliche, con l'ordinanza n. 2408 del 24 maggio 2007 (online) dichiarò invalidi i punti relativi all'IRC presenti nell'ordinanza del ministro Fioroni. A questa ordinanza del TAR fece però seguito l'ordinanza del Consiglio di Stato (di grado superiore al TAR del Lazio) n. 2920 del 12 giugno 2007 (online) che accolse il ricorso del ministro Fioroni.
Nel 2009 però il TAR della regione Lazio, accogliendo ricorsi presentati da associazioni laiche e non cattoliche, con la sentenza n. 7076 del 17 luglio 2009 (online), ha sentenziato (come nel 2007) che gli studenti frequentanti l'ora di religione non possono aggiungere crediti formativi al loro curriculum per l'esame di maturità e che agli scrutini gli insegnanti di religione non possono presenziarvi a pieno titolo. Il ministro Gelmini ha fatto ricorso al Consiglio di Stato (come fece Fioroni nel 2007), che è stato accolto con la sentenza n. 2749 del 7 maggio 2010 (online): l'IRC mantiene dunque valore sia per quanto riguarda la promozione o bocciatura degli alunni, sia per quanto riguarda la maturazione del credito scolastico per l'esame di maturità (cf. anche l'OM del MIUR n.42 del 6 maggio 2011, art. 8, commi 13-16; cf. anche parere del Consiglio di Stato, Sez. v, 7 maggio 2011, 2749 "sui Crediti Scolastici e l’ora di Religione", online).
In definitiva:
§  l'insegnante di religione si pronuncia, come gli altri insegnanti, circa la promozione o bocciatura degli alunni avvalentisi, e similmente per gli insegnanti di alternativa per gli alunni non avvalentisi;
§  la valutazione della materia, espressa in forma di giudizio (p.es. Ottimo) e non voto (p.es. 9), non entra a far parte della media;
§  per il triennio delle superiori (3a, 4a, 5a) il professore di religione (come anche quello di attività alternativa) esprime il proprio parere per l'eventuale attribuzione del punto di credito formativo aggiuntivo, nel caso di un alunno la cui media lo colloca nella parte bassa della fascia del credito, parere che va considerato assieme alle altre eventuali attività formative svolte dal ragazzo. P.es. se la media numerica dei voti riconosce a un alunno 4 crediti, nella fascia dei 4-5 crediti, il parere del professore di religione può farlo salire a 5 crediti.
Programma
Pur variando come metodologie e contenuti didattici, l'IRC nei vari anni e cicli ha come obiettivo la trattazione della religione cattolica da un punto di vista prettamente culturale, e non propriamente religioso-catechetico. Un docente di religione non deve avere come obiettivo l'indottrinamento (nel senso negativo del termine) degli alunni, o anche una loro conversione religiosa, o un'apologia della religione cattolica. Questa deve invece essere trattata come quello che oggettivamente è, cioè un fenomeno intellettuale, storico, sociale, artistico che ha plasmato la società e la cultura occidentale nella quale sono inseriti gli alunni.
Nello specifico questi sono gli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) previsti per l'IRC nei vari cicli di studio:[6][7]
Scuola dell'infanzia (materna)[8]
Anni
Conoscenze e abilità
I-III
§  Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani e da tanti uomini religiosi dono di Dio Creatore.
§  Scoprire la persona di Gesù di Nazaret come viene presentata dai Vangeli e come viene celebrata nelle feste cristiane.
§  Individuare i luoghi di incontro della comunità cristiana e le espressioni del comandamento evangelico dell'amore testimoniato dalla Chiesa.

Scuola primaria (elementari)[9]
Anni
Conoscenze
Abilità
I
§  Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini.
§  Gesù di Nazaret, l'Emmanuele "Dio con noi".
§  La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a tutti i popoli.
§  Scoprire nell'ambiente i segni che richiamano ai cristiani e a tanti credenti la presenza di Dio Creatore e Padre.
§  Cogliere i segni cristiani del Natale e della Pasqua.
§  Descrivere l'ambiente di vita di Gesù nei suoi aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
§  Riconoscere la Chiesa come famiglia di Dio che fa memoria di Gesù e del suo messaggio.
II-III
§  L'origine del mondo e dell'uomo nel cristianesimo e nelle altre religioni.
§  Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio.
§  La preghiera, espressione di religiosità.
§  La festa della Pasqua.
§  La Chiesa, il suo credo e la sua missione.
§  Comprendere, attraverso i racconti biblici delle origini, che il mondo è opera di Dio, affidato alla responsabilità dell'uomo.
§  Ricostruire le principali tappe della storia della salvezza, anche attraverso figure significative.
§  Cogliere, attraverso alcune pagine evangeliche, come Gesù viene incontro alle attese di perdono e di pace, di giustizia e di vita eterna.
§  Identificare tra le espressioni delle religioni la preghiera e, nel "Padre Nostro", la specificità della preghiera cristiana.
§  Rilevare la continuità e la novità della Pasqua cristiana rispetto alla Pasqua ebraica.
§  Cogliere, attraverso alcune pagine degli "Atti degli Apostoli", la vita della Chiesa delle origini.
§  Riconoscere nella fede e nei sacramenti di iniziazione (battesimo-confermazione-eucaristia) gli elementi che costituiscono la comunità cristiana.
IV-V
§  Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e sviluppo.
§  La Bibbia e i testi sacri delle grandi religioni.
§  Gesù, il Signore, che rivela il Regno di Dio con parole e azioni.
§  I segni e i simboli del cristianesimo, anche nell’arte.
§  La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti, persone e strutture.
§  Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai diversi popoli.
§  Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande di senso dell'uomo e confrontarla con quella delle principali religioni.
§  Cogliere nella vita e negli insegnamenti di Gesù proposte di scelte responsabili per un personale progetto di vita.
§  Riconoscere nei santi e nei martiri, di ieri e di oggi, progetti riusciti di vita cristiana.
§  Evidenziare l'apporto che, con la diffusione del Vangelo, la Chiesa ha dato alla società e alla vita di ogni persona.
§  Identificare nei segni espressi dalla Chiesa l’azione dello Spirito di Dio, che la costruisce una e inviata a tutta l'umanità.
§  Individuare significative espressioni d'arte cristiana, per rilevare come la fede è stata interpretata dagli artisti nel corso dei secoli.
§  Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c'è una varietà di doni, che si manifesta in diverse vocazioni e ministeri.
§  Riconoscere in alcuni testi biblici la figura di Maria, presente nella vita del Figlio Gesù e in quella della Chiesa.

Scuola secondaria di primo grado (medie)[10]
Anni
Conoscenze
Abilità
I-II
§  Ricerca umana e rivelazione di Dio nella storia: il Cristianesimo a confronto con l’Ebraismo e le altre religioni
§  Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e parola di Dio
§  L’identità storica di Gesù e il riconoscimento di lui come Figlio di Dio fatto uomo, Salvatore del mondo
§  La preghiera al Padre nella vita di Gesù e nell’esperienza dei suoi discepoli
§  La persona e la vita di Gesù nell’arte e nella cultura in Italia e in Europa, nell’epoca medievale e moderna
§  L’opera di Gesù, la sua morte e risurrezione e la missione della Chiesa nel mondo: l’annuncio della Parola, la liturgia e la testimonianza della carità
§  I sacramenti, incontro con Cristo nella Chiesa, fonte di vita nuova
§  La Chiesa, generata dallo Spirito Santo, realtà universale e locale, comunità di fratelli, edificata da carismi e ministeri
§  Evidenziare gli elementi specifici della dottrina, del culto e dell’etica delle altre religioni, in particolare dell’Ebraismo e dell’Islam
§  Ricostruire le tappe della storia di Israele e della prima comunità cristiana e la composizione della Bibbia
§  Individuare il messaggio centrale di alcuni testi biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi diversi di lettura
§  Identificare i tratti fondamentali della figura di Gesù nei vangeli sinottici, confrontandoli con i dati della ricerca storica
§  Riconoscere le caratteristiche della salvezza attuata da Gesù in rapporto ai bisogni e alle attese dell’uomo, con riferimento particolare alle lettere di Paolo
§  Documentare come le parole e le opere di Gesù abbiano ispirato scelte di vita fraterna, di carità e di riconciliazione nella storia dell’Europa e del mondo
§  Individuare lo specifico della preghiera cristiana e le sue diverse forme
§  Riconoscere vari modi di interpretare la vita di Gesù, di Maria e dei santi nella letteratura e nell’arte
§  Cogliere gli aspetti costitutivi e i significati della celebrazione dei sacramenti
§  Individuare caratteristiche e responsabilità di ministeri, stati di vita e istituzioni ecclesiali
§  Individuare gli elementi e i significati dello spazio sacro nel medioevo e nell’epoca moderna
§  Riconoscere i principali fattori del cammino ecumenico e l’impegno delle Chiese e comunità cristiane per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato
III
§  La fede, alleanza tra Dio e l’uomo, vocazione e progetto di vita
§  Fede e scienza, letture distinte ma non conflittuali dell’uomo e del mondo
§  Il cristianesimo e il pluralismo religioso
§  Gesù, via, verità e vita per l’umanità
§  Il decalogo, il comandamento nuovo di Gesù e le beatitudini nella vita dei cristiani
§  Vita e morte nella visione di fede cristiana e nelle altre religioni
§  Riconoscere le dimensioni fondamentali dell’esperienza di fede di alcuni personaggi biblici, mettendole anche a confronto con altre figure religiose
§  Confrontare spiegazioni religiose e scientifiche del mondo e della vita
§  Rintracciare nei documenti della Chiesa gli atteggiamenti che favoriscono l’incontro, il confronto e la convivenza tra persone di diversa cultura e religione
§  Individuare nelle testimonianze di vita evangelica, anche attuali, scelte di libertà per un proprio progetto di vita
§  Descrivere l’insegnamento cristiano sui rapporti interpersonali, l’affettività e la sessualità
§  Motivare le risposte del cristianesimo ai problemi della società di oggi
§  Confrontare criticamente comportamenti e aspetti della cultura attuale con la proposta cristiana
§  Individuare l’originalità della speranza cristiana rispetto alla proposta di altre visioni religiose

Scuola secondaria di secondo grado (superiori)[11]
Anni
Conoscenze
Abilità
I-II
Lo studente:
§  riconosce gli interrogativi universali dell'uomo: origine e futuro del mondo e dell'uomo, bene e male, senso della vita e della morte, speranze e paure dell'umanità, e le risposte che ne dà il cristianesimo, anche a confronto con altre religioni;
§  si rende conto, alla luce della rivelazione cristiana, del valore delle relazioni interpersonali e dell'affettività: autenticità, onestà, amicizia, fraternità, accoglienza, amore, perdono, aiuto, nel contesto delle istanze della società contemporanea;
§  individua la radice ebraica del cristianesimo e coglie la specificità della proposta cristiano-cattolica, nella singolarità della rivelazione di Dio Uno e Trino, distinguendola da quella di altre religioni e sistemi di significato;
§  accosta i testi e le categorie più rilevanti dell'Antico e del Nuovo Testamento: creazione, peccato, promessa, esodo, alleanza, popolo di Dio, messia, regno di Dio, amore, mistero pasquale; ne scopre le peculiarità dal punto di vista storico, letterario e religioso;
§  approfondisce la conoscenza della persona e del messaggio di salvezza di Gesù Cristo, il suo stile di vita, la sua relazione con Dio e con le persone, l'opzione preferenziale per i piccoli e i poveri, così come documentato nei V angeli e in altre fonti storiche;
§  ripercorre gli eventi principali della vita della Chiesa nel primo millennio e coglie l'importanza del cristianesimo per la nascita e lo sviluppo della cultura europea;
§  riconosce il valore etico della vita umana come la dignità della persona, la libertà di coscienza, la responsabilità verso se stessi, gli altri e il mondo, aprendosi alla ricerca della verità e di un'autentica giustizia sociale e all'impegno per il bene comune e la promozione della pace.
Lo studente:
§  riflette sulle proprie esperienze personali e di relazione con gli altri: sentimenti, dubbi, speranze, relazioni, solitudine, incontro, condivisione, ponendo domande di senso nel confronto con le risposte offerte dalla tradizione cristiana;
§  riconosce il valore del linguaggio religioso, in particolare quello cristiano-cattolico, nell'interpretazione della realtà e lo usa nella spiegazione dei contenuti specifici del cristianesimo;
§  dialoga con posizioni religiose e culturali diverse dalla propria in un clima di rispetto, confronto e arricchimento reciproco;
§  individua criteri per accostare correttamente la Bibbia, distinguendo la componente storica, letteraria e teologica dei principali testi, riferendosi eventualmente anche alle lingue classiche;
§  riconosce l'origine e la natura della Chiesa e le forme del suo agire nel mondo quali l'annuncio, i sacramenti, la carità;
§  legge, nelle forme di espressione artistica e della tradizione popolare, i segni del cristianesimo distinguendoli da quelli derivanti da altre identità religiose;
§  coglie la valenza delle scelte morali, valutandole alla luce della proposta cristiana.
III-IV
Lo studente:
§  approfondisce, in una riflessione sistematica, gli interrogativi di senso più rilevanti: finitezza, trascendenza, egoismo, amore, sofferenza, consolazione, morte, vita;
§  studia la questione su Dio e il rapporto fede-ragione in riferimento alla storia del pensiero filosofico e al progresso scientifico-tecnologico;
§  rileva, nel cristianesimo, la centralità del mistero pasquale e la corrispondenza del Gesù dei V angeli con la testimonianza delle prime comunità cristiane codificata nella genesi redazionale del Nuovo Testamento;
§  conosce il rapporto tra la storia umana e la storia della salvezza, ricavandone il modo cristiano di comprendere l'esistenza dell'uomo nel tempo;
§  arricchisce il proprio lessico religioso, conoscendo origine, significato e attualità di alcuni grandi temi biblici: salvezza, conversione, redenzione, comunione, grazia, vita eterna, riconoscendo il senso proprio che tali categorie ricevono dal messaggio e dall'opera di Gesù Cristo;
§  conosce lo sviluppo storico della Chiesa nell'età medievale e moderna, cogliendo sia il contributo allo sviluppo della cultura, dei valori civili e della fraternità, sia i motivi storici che determinarono divisioni, nonché l'impegno a ricomporre l'unità;
§  conosce, in un contesto di pluralismo culturale complesso, gli orientamenti della Chiesa sul rapporto tra coscienza, libertà e verità con particolare riferimento a bioetica, lavoro, giustizia sociale, questione ecologica e sviluppo sostenibile.
Lo studente:
§  confronta orientamenti e risposte cnst1ane alle più profonde questioni della condizione umana, nel quadro di differenti patrimoni culturali e religiosi presenti in Italia, in Europa e nel mondo;
§  collega, alla luce del cristianesimo, la storia umana e la storia della salvezza, cogliendo il senso dell'azione di Dio nella storia dell'uomo;
§  legge pagine scelte dell'Antico e del Nuovo Testamento applicando i corretti criteri di interpretazione;
§  descrive l'incontro del messaggio cristiano universale con le culture particolari e gli effetti che esso ha prodotto nei vari contesti sociali;
§  riconosce in opere artistiche, letterarie e sociali i riferimenti biblici e religiosi che ne sono all'origine e sa decodificarne il linguaggio simbolico;
§  rintraccia, nella testimonianza cristiana di figure significative di tutti i tempi, il rapporto tra gli elementi spirituali, istituzionali e carismatici della Chiesa;
§  opera criticamente scelte etico-religiose in riferimento ai valori proposti dal cristianesimo.
V
Lo studente:
§  riconosce il ruolo della religione nella società e ne comprende la natura in prospettiva di un dialogo costruttivo fondato sul principio della libertà religiosa;
§  conosce l'identità della religione cattolica in riferimento ai suoi documenti fondanti, all'evento centrale della nascita, morte e risurrezione di Gesù Cristo e alla prassi di vita che essa propone;
§  studia il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, con riferimento ai totalitarismi del Novecento e alloro crollo, ai nuovi scenari religiosi, alla globalizzazione e migrazione dei popoli, alle nuove forme di comunicazione;
§  conosce le principali novità del Concilio ecumenico Vaticano II, la concezione cristiano-cattolica del matrimonio e della famiglia, le linee di fondo della dottrina sociale della Chiesa.
Lo studente:
§  motiva le proprie scelte di vita, confrontandole con la visione cristiana, e dialoga in modo aperto, libero e costruttivo;
§  si confronta con gli aspetti più significativi delle grandi verità della fede cristianocattolica, tenendo conto del rinnovamento promosso dal Concilio ecumenico Vaticano II, e ne verifica gli effetti nei vari ambiti della società e della cultura;
§  individua, sul piano etico-religioso, le potenzialità e i rischi legati allo sviluppo economico, sociale e ambientale, alla globalizzazione e alla multiculturalità, alle nuove tecnologie e modalità di accesso al sapere;
§  distingue la concezione cristiano-cattolica del matrimonio e della famiglia: istituzione, sacramento, indissolubilità, fedeltà, fecondità, relazioni familiari ed educative, soggettività sociale.
La recente (giugno 2012) intesa introduce una distinzione (troppo?) precisa quanto agli OSA generali delle superiori sopra esposti e quelli specifici degli istituti tecnici, degli istituti professionali e della istruzione e formazione professionale.

1 commento:

  1. Questo documento espone la problematica della trasgressione del principio di laicità, minato dalle continue ingerenze della Chiesa cattolica nell'economia, nella politica e nella società italiana. E' legittimo che lo Stato italiano nomini e paghi insegnanti di religione cattolica scelti dalla Chiesa ? E' giusto che si dia pochissimo spazio allo studio delle altre religioni ? e infine perchè in una democrazia come la nostra che dovrebbe sostenere il pluralismo, la libertà di culto e di coscienza, la libertà di critica e di pensiero, si è costretti ad assistere a concessioni di concordati ad hoc discriminanti verso le altre confessioni religiose, prebende ed esenzioni fiscali, agevolazioni tributarie quali l'8 x mille e favoritismi in ambito educativo ( le scuole paritarie ottengono finanziamenti statali pur essendo private )? Vi preghiamo di leggere il documento sopra esposto per realizzare il paradosso democratico che ci affligge.

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