venerdì 26 aprile 2013


EXCURSUS SULLA CRISI DI IERI ( 1929, 1973- 1990) E OGGI ( 2008-2013 ) CON IL SUSSIDIO DE "IL SECOLO BREVE" DI ERIC HOBSBAWN 
(Tutte le citazioni sono tratte da "Il Secolo Breve") La crisi moderna sembra sempre più indecifrabile se si pensa che dura ormai da 5 anni ( 2008 ) e che economisti e politici di fama internazionale non sono riusciti a trovare dei rimedi validi e lungimiranti. Un modo utile per comprendere lo stato attuale della crisi finanziaria, per cercare almeno di ordinare le idee e raggiungere una visione di insieme, è quello di appellarsi alla storia che, esercitando la sua funzione di ricordare all'uomo tutti gli errori che ha commesso, permette di definire l'andamento oscillatorio delle crisi, delle congiunture ( periodi brevi in cui si registrano recessione sul piano dei consumi e della ricchezza ed elevata inflazione ) e delle fasi di progresso economico. 
L'economia si basa su una miriade di leggi, quella basilare definita da Adam Smith è la legge della domanda e dell'offerta ( questa legge vale solo in un mercato elastico con libera concorrenza e privo di monopoli o oligopoli ) che descrive il fenomeno di autoregolamento del mercato il quale tiene conto di un "naturale" equilibrio tra la domanda e l'offerta ( quantità ) 

Eric Hobsbawn inizia a spiegare le cause della prima vera e propria crisi economica che ha attanagliato l'Occidente e le altre nazioni globali, ovvero la Grande Depressione del 1929, nel capitolo III ( "Nell'abisso economico " ) premettendo che già le prime avvisaglie erano apparse lungo tutto il periodo compreso fra il 1870 e 1890. Questi presupposti di instabilità economica furono suffragati da un utile modello economico formulato da un economista russo verso la fine del Settecento, Kondrat'ev, il quale notò a buon diritto che, a partire dalla rivoluzione francese, la borghesia aveva avviato un percorso ininterrotto di progresso economico caratterizzato dalle cosìdette onde di Kondrat'ev, vere e proprie fasi di stagnazione che si alternano di frequente a dei periodi di sovrapproduzione. La crisi del '29 ( iniziata già nel 1920 ) aveva interrotto la fase di progresso economico e tecnologico avviatasi con la rivoluzione industriale di fine '800, oltre che la mondializzazione delle economie nazionali, l'equilibrio raggiunto fino a quel momento fra nazioni esportatrici e importatrici e il processo di sperequazione, ovvero di ineguale distribuzione delle ricchezze.
Ma perchè una stagnazione così duratura ? Hobsbawn afferma che fu dovuta, secondo i contemporanei, alla politica economica protezionistica dei singoli Stati che tendevano ad isolarsi sempre di più dal commercio con le altre economie instabili, inoltre l'enorme quantità di prodotti che, come Marx asserisce ne "Il Capitale", inducono inevitabilmente il sistema capitalistico al collasso non si è mantenuta pari alla reale necessità e capacità di consumo delle popolazioni. Pertanto è aumentata l'offerta, è calata la domanda e di conseguenza sono calati i prezzi giungendo così ad una fase di stagnazione. Ma quali gli effetti di tale crisi ? Miseria, disoccupazione, fine del risparmio privato, perdita del lavoro, aumento di senzatetto e notevoli ripercussioni sul piano psicologico. Questa crisi si profilò ancora più letale per gli operai salariati ( meno per i contadini che avevano contatto diretto con i mezzi di produzione ) se si pensa che all'epoca mancavano i più banali mezzi di sostentamento sociale cui oggi siamo abituati e che rientrano nella sfera del Welfare State, come il sistema pensionistico, la cassa integrazione e il sistema sanitario pubblico. La crisi del 1929, protrattasi fino al 1938, sanzionò la fine del liberismo economico, ovvero dell'ideologia del libero mercato e dell'assenza dello Stato come soggetto politico ed economico volto a tutelare le fasce più deboli e precarie della società, inoltre le banche nazionali inglese e giapponese tornarono ai vecchi sistemi, seppur per breve tempo, di parità aurea e di cambio monetario stabile, mentre gli Stati Uniti si orientarono verso la dissoluzione della prima per garantire maggiore liquidità. L'Unione Sovietica mostrava invece un'economia stabile, pertanto molti furono gli economisti che studiarono la politica economica russa non tanto per emularla, bensì per raffrontarla a quella capitalistica al fine di comprenderne le mancanze. Ebbe molto successo la nuova versione del capitalismo di John Maynard Keynes il quale capì che, in una fase di stagnazione economica, bisogna sollecitare la domanda attraverso un aumento dei redditi pro capite, oltre che prediligere una politica economica all'insegna dell'intervento dello Stato attraverso l'assistenzialismo e i finanziamenti pubblici per favorire l'occupazione. E' importante sottolineare come all'epoca le politiche di austerità ed esclusivo risanamento del deficit statale si siano dimostrate totalmente erronee come asserisce Hobsbawn : 

"Gli economisti che suggerivano soltanto di non intervenire in economia e i governi che, seguendo il loro primo istinto, restavano fedeli ad una dottrina finanziaria tradizionale e, a prescindere dalla difesa del sistema aureo con politiche deflattive, si limitavano a tenere i bilanci in pareggio e a tagliare le spese non riuscivano evidentemente a cambiare la situazione"

E' incredibile l'analogia fra la politica economica fallimentare suddetta da Hobsbawn e quella che è stata applicata in Italia dal governo "tecnico", perchè, come afferma lo stesso storico in riferimento all'ostinazione dei liberali nell'applicare politiche economiche liberiste,  :

"(Tuttavia) questo strano fenomeno dovrebbe farci venire alla mente un grande aspetto della storia che esso esemplifica : l'incredibile brevità della memoria sia dei teorici sia degli operatori economici. Esso offre anche una chiara dimostrazione di come la società abbia bisogno degli storici, i quali assolvono il compito professionale di ricordare ai loro concittadini ciò che questi desiderano dimenticare."

Un altro fattore determinante che ha influenzato una crisi che Hobsbawn dice essere prima di tutto europea è rappresentato dall'economia statunitense.
A partire dal 1913 gli USA producevano 1/3 della produzione industriale mondiale appena al di sotto della quota di Germania, Gran Bretagna e Francia messe insieme; dopo la Grande Guerra, malgrado una fase d'arresto, gli Stati Uniti riuscirono ad assestarsi come i più grandi produttori mondiali, primi nella classifica di esportatori e secondi in quella di importatori dopo la Gran Bretagna, tuttavia divennero creditori di quasi tutte le nazioni europee, capovolgendo la situazione prebellica che vedeva gli USA debitori dell'Europa stessa.
Proprio questo rapporto di debito che l'Europa si ritrova ad intrattenere con l'America la porterà all'apice della crisi, infatti, quando le banche americane interromperanno i prestiti per via della violenta crisi del 1929 e favoriranno in tal senso una politica isolazionistica, cristallizzeranno la flebile situazione di ripresa che aveva coinvolto l'Europa grazie ai loro prestiti. E' utile sottolineare che mentre l'Inghilterra nell'800, poichè rivestiva il ruolo di potenza egemone a livello mondiale, si preoccupava di mantenere delle durature condizioni di equilibrio nell'economia globale, gli Stati Uniti preferirono distaccarsi dalle problematiche europee (errore che non commisero nel II dopoguerra). Non è un caso che il reddito pro capite in America fosse prodotto soltanto per un'esigua percentuale grazie alle esportazioni. Un'altra causa della crisi economica riguarda l'incapacità di stimolare la domanda mantenendola di pari passo con la crescita impetuosa dell'offerta, infatti, in America soprattutto, l'aumento dell'offerta non fu accompagnato da un aumento della domanda, ovvero i salari rimasero invariati e i profitti di conseguenza aumentarono sottoforma di eccedenze, frutto di una scellerata e scriteriata sovrapproduzione che dava facile adito alla speculazione finanziaria, naturale bacino di affluenza del surplus. La rilevanza delle borse come luogo di speculazione non va sottovalutata in questa crisi, in quanto rifletterà una consuetudine ricorrente in quelle future, inoltre il carattere finanziario di tale depressione economica fu particolarmente marcato negli USA dove le banche erano più propense ad erogare prestiti, senza tenere conto delle reali possibilità di solvibilità del contraente. 

"Questo boom del credito rese l'economia ancora più vulnerabile, perchè i clienti non usavano i prestiti per acquistare beni di consumo di massa, come il cibo, il vestiario e simili che servivano a sopravvivere quotidianamente e la cui domanda era perciò piuttosto rigida. Infatti, per quanto si possa essere poveri, non si può ridurre la domanda di cibo sotto un certo livello; nè la domanda di cibo raddoppia, se raddoppia il reddito dei consumatori."   

La crisi in America fu ancora più mordente se si pensa che il sistema di banche statunitense era basato su una fitta rete di istituti bancari di limitate dimensioni che erano meno immuni alle perdite e alla bancarotta.
I risvolti che questa crisi determinò sul piano psicologico furono innumerevoli : senso di insicurezza, smarrimento, inquietudine, sfiducia, paura, angoscia, ma anche pessimismo e volontà di cambiamento.

"La Grande crisi confermò negli intellettuali, in chi era impegnato nell'attività politica e nei comuni cittadini l'opinione che nella realtà sociale in cui vivevano ci fosse qualcosa di fondamentalmente sbagliato." 

La crisi provocò un graduale spostamento ideologico verso la destra che soprattutto in Italia e in Germania, riformandosi come movimento di massa e populistico, antiliberale, antirazionalistico e antimaterialistico, raggiunse risultati senza eguali che indussero all'instaurazione di 2 delle più terribili dittature del '900, alle quali si ispirarono  futuri dittatori come Franco e Salazar.


LA CRISI DEL 1973

"La storia dei vent'anni dopo il 1973 è quella di un mondo che ha perso i suoi punti di riferimento e che è scivolato nell'instabilità e nella crisi."

Tipica della crisi del ventennio successivo al 1973 è la tendenza a mascherare la vera entità della depressione economica con epiteti vari ("recessione" quello più comune), il motivo di questa riluttanza a voler ammettere che effettivamente si stava preannunziando un periodo di profonda depressione economica è ascrivibile al diffuso timore che si aveva riguardo una nuova fase di "crollo".
Rispetto al ventennio tra le 2 guerre, il sistema economico del II dopoguerra poteva usufruire di fattori stabilizzanti più efficaci come il controllo computerizzato delle scorte in magazzino e il miglioramento sia delle comunicazioni che dei trasporti ( molto più rapidi ). Queste 2 componenti permisero di risolvere la problematica legata allo squilibrio fra la domanda e l'offerta, infatti i giapponesi, che per primi implementarono questo sistema, si accorsero che, mantenendo in magazzino una quantità limitata di scorte e fabbricando un numero di prodotti consono alle esigenze immediate dei commercianti, si poteva evitare l'accumulo di scorte, quindi la diminuzione della domanda e dei prezzi. Inoltre nell'economia mondiale del 1973 gli Stati nazionali intervenivano pesantemente nella società, arrivando a dedicare fette sempre più ampie del proprio bilancio alle politiche sociali, la sensazione era che la crisi del '29 avesse fatto ormai il suo corso e che le grandi potenze economiche mondiali avessero imparato dagli errori commessi in passato. Allora sorge spontaneo chiedersi cosa effettivamente spinse l'Europa, gli USA e il mondo nel baratro di una nuova crisi. Tutte le variabili che avevano condizionato l'economia mondiale nel 1929, come la disoccupazione di massa, la miseria, la povertà, l'instabilità, sembravano riapparire durante varie fasi di recessione negli anni 1974-75, 1980-82 e alla fine degli anni '80. Tutti i problemi della precedente crisi riaffiorarono accompagnati da un'ampia diseguaglianza sociale ed economica che annoverava Brasile, Guatemala, Messico, Sri Lanka, Botswana, Nuova Zelanda, Singapore, Hong Kong, Svizzera, Usa, Australia e successivamente gran parte delle nazioni europee.  
L'approccio dei governi alle prime avvisaglie di crisi nel 1970 fu minimalista e negligente e risulta ancora più sorprendente che verso gli anni '80, nel pieno della crisi, si sia optato per un anacronistico e incosciente ritorno al liberismo ( neoliberismo ) il quale vide come maggiori assertori Margaret Thatcher in Inghilterra e Ronald Reagan negli Stati Uniti. Ritornò attuale il confronto-scontro fra 2 vere e proprie ideologie e visioni della vita ( neoliberismo : assenza di etica, visione keynesiana : prevalenza dell'etica della solidarietà sociale ) : neoliberisti, che sostenevano il libero mercato autoregolantesi e slegato dalle restrizioni dello Stato oltre al sanamento dei conti e al taglio delle spese, e Keynesiani i quali asserivano che l'economia si dovesse basare sulla presenza protettiva dello Stato che tramite finanziamenti pubblici ed una migliore ripartizione ( egualitaria ) del reddito poteva stimolare la domanda. Il dato di fatto che emerse fu che il sistema capitalistico mondiale stava divenendo sempre più complesso ( per esempio si scoprì una nuova connessione fra stagnazione e inflazione chiamata stagflazione ), per non parlare della netta regressione del potere politico che si dimostrava incapace di gestire un potere economico ormai divenuto incontrollabile.

"L'aspetto più importante dei Decenni di crisi (1970-90) non è che il capitalismo non funziona più bene come aveva fatto nell'Età dell'oro (1950-70), ma che le sue operazioni sono divenute incontrollabili. Nessuno sa come affrontare le variazioni capricciose dell'economia mondiale nè possiede gli strumenti per controllarle. Lo strumento più importante usato nell'Età dell'oro, cioè la politica direttiva dello stato, coordinata a livello nazionale o internazionale, non funziona più. I Decenni di crisi hanno segnato la perdita del potere economico da parte dello stato nazionale."   
   
Gli anni '80 sono contraddistinti da 2 dei maggiori governi neoliberisti, quello inglese e statunitense, che non riuscirono a ridurre la presenza dello Stato nell'economia pur professando un'ideologia economica lassista, pertanto con l'avvicinarsi degli anni '90 si assiste al fallimento definitivo del neoliberismo, allo sgretolamento dell'Unione Sovietica e al primeggiare della potenza "comunista" cinese (in realtà capitalista). 
Nel frattempo, sul finire del secolo, inizia quella che molti chiamano III rivoluzione industriale, in quanto il sistema di produzione è sconvolto dalle numerose e repentine scoperte tecnologiche che transnazionalizzano le economie nazionali complicando la fitta rete mondiale di connessioni commerciali; tale rivoluzione tecnologica porta a quella che già Marcuse aveva preannunziato come la totale sostituzione dell'uomo nel processo produttivo, a favore di un suo nuovo ruolo in veste di "colletto bianco" (ingegnere, progettista) o di "tuta blu" (operaio appendice della macchina, responsabile esclusivamente della riparazione delle macchine). La tecnologia estende le sue radici completando quel processo di alienazione dell'operaio cominciato già con la I rivoluzione industriale : un altro elemento fondamentale che si aggiunse alla crisi fu di natura strutturale e riguardò la disoccupazione di massa degli operai con una conseguente diminuzione dei posti di lavoro. Le industrie, vista la crisi, attuarono un processo di delocalizzazione delle loro filiali in paesi sottosviluppati o in via di sviluppo in cui la manodopera a basso costo e l'assenza di diritti del lavoratore agevolavano l'incremento del profitto. 

"La tragedia storica dei Decenni di crisi fu che la produzione eliminava manodopera più in fretta di quanto l'economia di mercato generasse nuovi posti di lavoro."

"...la manodopera veniva trasferita dal settore pubblico ad aziende private, le quali, per definizione, non considerano altro interesse che il proprio utile pecuniario. Questo significava, tra l'altro, che i governi e gli altri enti pubblici cessavano di svolgere la funzione di "datori di lavoro a cui si ricorre come ultima risorsa", come erano stati definiti. Il declino dei sindacati, indeboliti sia dalla depressione economica sia dall'ostilità dei governi neoliberisti, accelerò questo processo, dal momento che la protezione dei posti di lavoro era una delle loro funzioni precipue. L'economia mondiale si stava espandendo, ma si era chiaramente rotto quell'automatismo per cui l'espansione produceva occupazione per uomini e donne che si affacciavano al mercato del lavoro senza una qualifica professionale."

La politica subì una violenta scossa dalla crisi economica : principalmente essa dovette fronteggiare una crisi strutturale consistente nella progressiva esclusione degli operai, così come degli impiegati i cui posti di lavoro entrarono in crisi a partire dagli anni '80, i quali iniziarono a smarrire i punti di riferimento tradizionali messi in crisi anche dalla fine dei partiti di massa di fine secolo (PCI, DC). La politica si dimostrò incapace di offrire delle risposte a chi perdeva il lavoro e si apprestava ad alimentare in numero una nuova "sottoclasse" di emarginati, questa situazione di stallo e degradazione delle classi sociali, in particolare della classe operaia in procinto di sgretolamento, portò ad una reazione antigovernativa che non si identificò come in passato nel socialismo, pertanto in Europa si verificò una vera e propria crisi, nonchè sfaldamento, dei partiti laburisti, socialdemocratici e comunisti a vantaggio di strutture pseudopartitiche populistiche del tipo della Lega Nord o di Forza Italia. La base elettorale dei partiti socialdemocratici, costituita dalla classe operaia, incominciò a frammentarsi determinando una suddivisione del partito stesso in sparuti movimenti popolari che si occupavano di problematiche settoriali, vedi i movimenti ambientalisti, "verdi" o femministi. 
Inoltre si diffusero movimenti e partiti che esulavano da una monolitica ideologia di destra, preferendo assestarsi su posizioni anch'esse più selettive e specifiche, per esempio i partiti xenofobi e razzisti che incentravano la loro attività sul rifiuto degli immigrati e degli stranieri di etnie diverse. Generalmente il cittadino comune, disoccupato, alienato, privo di punti di riferimento, preferì aderire a partiti che erano più gruppi di carattere etnico - nazionalista ( Lega Nord, estrema destra xenofoba in Finlandia...) , abbinando a questa nuova posizione dettata più dall'emozione che da un reale esame critico un ampio rifiuto per la "vecchia politica".

"In breve, durante i Decenni di crisi le strutture della politica nei paesi democratici, che fino ad allora erano rimaste stabili, cominciarono ad andare a pezzi. Cosa più importante, le nuove forze politiche che dimostravano il maggior potenziale di crescita erano quelle che combinavano demagogia populista, ostilità per gli stranieri ed una vistosa leadership personalistica."  

La crisi non ebbe effetti solo sulla politica dei paesi occidentali, bensì anche su quella di stampo comunista presente nell'URSS, infatti si giunse alla conclusione che la politica economica di stampo leninista - stalinista dovesse essere accantonata, visto che ormai gli anni  '90, con il crollo dell'Unione Sovietica, avevano dimostrato che il suo equilibrio si basava esclusivamente sul bipolarismo della Guerra Fredda che aveva contribuito a mantenere una fitta rete di scambi commerciali da ambedue i lati (USA, PATTO ATLANTICO - URSS, PATTO DI VARSAVIA).

"Il paradosso del comunismo una volta giunto al potere è stato quello di essere conservatore." 

Si profilarono 2 possibilità per il sistema comunista sovietico al termine della sua esistenza : trasformarsi in un sistema economico capitalistico di stampo neoliberista o in un' allettante socialdemocrazia occidentale. Alla fine, anche per via del rinnovato sostegno che il neoliberismo stava conseguendo, prevalse un'economia neoliberista che senza dubbio si dimostrò fallimentare, visto che il passaggio da un sistema comunista statalista ad uno fondato sul libero mercato è pressochè impensabile in così breve tempo. 
Il capitalismo sembrava barcamenarsi fra le traversie di una crisi che alla fine del Secolo Breve sembrava sempre più complicata senza essere messo in discussione alle fondamenta, diversamente da quanto avvenne per il comunismo.

"Per il sistema comunista, che almeno nella sfera sovietica si era dimostrato rigido e inferiore al capitalismo, era in gioco la sua stessa sopravvivenza. Di contro, nei paesi di capitalismo avanzato la sopravvivenza del sistema economico non fu mai in questione e neppure lo è stata la sussistenza dei loro sistemi politici, nonostante lo sgretolamento delle forze tradizionali  che avevano retto quei sistemi."

Una delle conseguenze più importanti per comprendere la crisi attuale è la condizione di soggezione economica alla quale furono sottoposti i paesi del Terzo Mondo, infatti questi contrassero ingenti prestiti che con la periodica applicazione dei tassi d'interesse da parte dei paesi più ricchi permisero a quest'ultimi di aumentare il divario mondiale fra nazioni ricche (Stati uniti, Europa, Canada, Australia) e povere (Africa, America centro - meridionale, Asia)
Verso gli anni '90 entrò in crisi anche l'istituzione dello Stato nazionale di matrice ottocentesca, quindi anche le sue componenti istituzionali come il Parlamento, il sindacato e la rete pubblica nazionale di comunicazione televisiva e radiofonica il cui potere d'azione venne inficiato e limitato dalle direttive delle comunità economiche e in seguito politiche di carattere transnazionale che si andavano formando (Comunità Economica Europea - Comunità Europea - Unione Europea, NAFTA : USA, MESSICO, CANADA). Di conseguenza guadagnarono maggiore rilevanza istituti internazionali come il mercato valutario internazionale, le aziende multinazionali e i sistemi di comunicazione via satellite, ma questo cambiamento strutturale portò ad una restrizione controproducente del potere politico degli Stati nazionali che persero la loro funzione di dispensatori di reddito in maniera egualitaria e di istituto assistenzialista. In più questa crisi dello Stato nazionale determinò al suo interno l'insorgere di un nuovo nazionalismo tipico dei Decenni di crisi e che si protrae ancora oggi, basato su atteggiamenti politici, più che su programmi, volti ad una corporativizzazione della società nazionale in cellule separate e spesso contraddistinte da intenti reazionari verso la globalizzazione e accomunate dalla stessa volontà di far emergere delle presunte e ostentate differenze etniche ( Lega Nord, comunità italiane, irlandesi, ebree...  negli USA, in Francia Inghilterra...).
Ma questo nuovo nazionalismo non è solo interno agli Stati nazionali, coinvolge anche sistemi internazionali come l'Unione Europea che ha dovuto fronteggiare la palese resistenza di Stati membri come la Norvegia e la Gran Bretagna di Margaret Thatcher all'introduzione di parametri comuni imposti dall'unione stessa.
Tuttavia le posizioni avverse di questi membri dovettero smussarsi, perchè ormai sembrava inevitabile la tendenza generale verso un'economia regolata da sistemi internazionali; malgrado ciò, nell'ambito della cultura nazionale, molti paesi membri come la Francia e la Germania si opposero all'ascendenza uniformatrice che si stava diffondendo nei meandri della comunità europea (in Francia molti si opposero all'importazione esclusiva di film americani al fine di valorizzare quello francese, in Germania si opposero alla tendenza a trascurare il settore dell'agricoltura). A questo primo aspetto del neonazionalismo, legato alla resistenza degli Stati nazionali, si aggiunge un diffuso egoismo collettivo della ricchezza che si  manifestò nella titubanza di molti paesi membri nel voler concedere ingenti somme di danaro a quei paesi comunitari in condizioni di arretratezza economica evidente (ancora oggi questa tendenza è presente, la Germania si è dimostrata di questo partito in occasione del trasferimento di fondi di supporto alla Grecia in crisi, ma anche la Lega Nord ha dimostrato di aderirvi dichiarando che il settentrione italiano non è disposto e non deve cedere le sue ricchezze al meridione sottosviluppato e arretrato).
Il terzo e ultimo aspetto del nazionalismo moderno è la strenua opposizione alla "rivoluzione culturale" che aveva soppresso tutti quei valori tradizionali ed eterogenei che avevano contraddistinto fino a quel momento una comunità nazionale dall'altra. 
Assistiamo quindi al sorgere di "identità di gruppo" facenti appello ad una comune "etnicità".

"[...] la politica dell'identità di gruppo non aveva una connessione intrinseca con "l'autodeterminazione nazionale", cioè con il desiderio di creare stati nazionali territoriali identici con un particolare "popolo", che fu l'essenza del nazionalismo. [...] lo scopo essenziale di una politica etnica o similare in società urbanizzate, cioè quasi per definizione eterogenee, è quello di entrare in competizione con altri gruppi per appropriarsi di una quota delle risorse gestite da uno stato non etnico, facendo leva sulla fedeltà dei politici al gruppo di appartenenza. [...] l'elemento che accomuna le politiche d'identità etnica e il nazionalismo etnico, ricomparso in questi ultimi anni di fine secolo, è l'insistenza che l'identità di un gruppo consista in alcune caratteristiche esistenziali, che si suppongono primordiali, immodificabili e perciò permanenti e personali condivise con gli altri membri del gruppo e con nessun altro"

"L'esclusività diventa ancora più essenziale per queste politiche d'identità, poichè le differenze effettive che distinguono le comunità umane si sono attenuate. [...] proprio la fluidità delle caratteristiche etniche nelle società urbane fa sì che la scelta del criterio etnico, come il solo che identifichi l'appartenenza ad un gruppo, sia arbitraria e artificiosa.

"L'identità di un gruppo sempre più deve costruirsi insistendo sulla diversità degli altri. [...] la tragedia di queste politiche esclusiviste dell'identità, a prescindere dal fatto che intendano costituire stati indipendenti, è che non possono funzionare. [...] La politica dell'identità e il nazionalismo di fine secolo non sono perciò programmi, e ancor meno sono programmi efficaci, per affrontare i problemi della fine del ventesimo secolo, ma sono piuttosto reazioni emotive a questi problemi. E tuttavia, mentre il secolo volge al termine, diventa sempre più evidente l'assenza di istituzioni e di meccanismi effettivamente capaci di affrontare questi problemi. Lo stato nazionale non è certo più in grado di farlo. Chi o che cosa potrà esserlo ?"

La moltiplicazione di organismi mondiali dimostra l'ormai esigenza del"World Government" (Governo Mondiale) tanto adorato e auspicato da Bertrand Russell nel suo libro "Has man a Future ?", pertanto ritengo che in futuro in un mondo globalizzato e costellato di connessioni come il nostro sia inevitabile e maggiormente utile aspirare ad un sistema di potere politico internazionale, prima ancora che economico.
2 sono le modalità per entrare in una comunità sovrannazionale che verso la dine del ventesimo secolo furono rafforzate : l'abdicazione volontaria di uno Stato della propria sovranità ad un ente transnazionale e il riconoscimento di istituti finanziari internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. 

Vari sono gli elementi che la crisi iniziata nel 2008 porta con sè dai decenni di crisi del secolo scorso e dalla crisi del 1929 - 38: 

mondializzazione dell'economia (1973-1990)

crisi degli stati nazionali (1973 - 1990)

produttività superiore alle reali capacità di consumo, squilibrio domanda - offerta mercato reale (1929 - 1938)

speculazione mercato finanziario (1973 - 1990)

divario ricchi - poveri all'interno degli stati, divario paesi ricchi e poveri (1973 - 1990)

potere politico sottomesso al potere economico (1973 - 1990)

crisi dei sindacati, dei partiti di massa, del Welfare State (1973 - 1990)

disoccupazione di massa (1929 - 38, 1973 - 90)

smantellamento della classe operaia : operai sostituiti dalle macchine, alienazione, prevalenza di professioni impiegatizie e aumento dei "colletti bianchi" nelle industrie (1973 - 1990)

rivoluzione tecnologica : mutamento della cognizione di spazio e tempo, comunicazioni più veloci, maggiore produzione (1973 - 1990)

ruolo centrale delle banche : interruzione parità aurea, subprime (prestiti ad alto tasso di interesse senza garanzia di solvibilità da parte del contraente), usura (1973 - 1990)

ruolo centrale a livello mondiale delle multinazionali, delocalizzazione delle industrie (1973 - 1990)

primato della Cina (1973 - 1990) 

fine delle ideologie politiche a favore di politiche d'identità di gruppo inconsistenti e inefficaci, insorgere del nazionalismo etnico (1973 - 1990)

smarrimento, mancanza di punti di riferimento, inquietudine, incertezza sul futuro (1929 - 38, 1973 - 1990)

crisi dell'Unione Europea (1973 - 1990)








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